I giganti tecnologici: intervista a Tommaso Valletti
DI EDOARDO GAGGI
13/03/2021
Tommaso Valletti si è unito alla conferenza di Hikma I Giganti tecnologici per spiegare il modello di business delle Big Tech. Lo abbiamo intervistato per analizzare insieme il loro impatto sulla concorrenza.
Le Big Tech, conosciute anche come giganti tecnologici, sono le maggiori compagnie nel campo dell'informazione basate negli USA. Si tratta di Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft. Se nei primi anni duemila, il gigante di allora - Microsoft - non è riuscito a tarpare le ali alla concorrenza, negli ultimi dieci anni il potere di mercato delle Big Five è cresciuto a tal punto da non permettere più di concorrere nel merito. Lo scorso 20 Febbraio Hikma ha dedicato la conferenza “I giganti tecnologici” a questo tema.. A seguito dell’incontro abbiamo intervistato Tommaso Valletti, professore e capo del dipartimento di Economics & Public Policy all’Imperial College di Londra ed ex-capo economista della DG Competition presso la Commissione Europea. Tommaso Valletti, insieme a Stefano Epifani e Nicola Bilotta è stato uno degli ospiti della conferenza.
Spesso una decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza si basa sulla definizione del mercato. Questa, se errata, può ribaltare l’esito del procedimento stesso. A questo proposito, come si può perfezionare l’esercizio di definizione del mercato di riferimento in cui si colloca una determinata azienda, soprattutto per quello che riguarda attori transnazionali come le Big Tech?
Il problema relativo alla definizione di mercato delle Big Tech è l’utilizzo di criteri tradizionali che non sono applicabili al modello di business di quest’ultime. Ad esempio, nel passato le autorità hanno definito Instagram come un online camera app, questa etichetta, riduttiva e limitante, risulta estremamente inappropriata per descrivere le numerose funzionalità dell’applicazione. Le Big Tech sono piuttosto piattaforme digitali che attirano la nostra attenzione, e fondano il loro guadagno sul loro ruolo da intermediari tra gli utenti e gli inserzionisti pubblicitari. Infatti, questi ultimi pagano affinché le Big Tech diano loro maggiore visibilità sulle loro piattaforme e perché i possibili consumatori vengano targettizzati con annunci. Il targeting si basa sulla capacità delle Big Tech di creare modelli comportamentali grazie all’acquisizione di numerosi dati. Compreso questo modello di business, una definizione di mercato più corretta delle Big Tech corrisponde a gatekeepers, ossia guardiani, in particolare della nostra attenzione. È giunto il momento di adottare una definizione di mercato più coerente con il modello di business di queste compagnie e che consenta alle autorità competenti di giudicarne l’operato.
L'Unione Europea ha dato il via all’acquisizione di Fitbit da parte di Google ponendo delle condizioni, mentre l’Australia non si è ancora pronunciata. Nonostante ciò, Google sta procedendo lo stesso con l'acquisto. Come potrebbero coordinarsi i diversi attori statali per evitare tali fusioni?
Rispetto a questo caso, l’Unione Europea ha giurisdizione esclusivamente sull’impatto che tali fusioni hanno sul mercato. Per quanto riguarda l’Australia, questa si è dimostrata specialmente sensibile al tema della regolamentazione delle Big Tech. Nonostante ciò, la sua sola voce non può bastare ad intimorire i giganti tecnologici. Per contrastare in maniera efficace fenomeni di tale portata occorre un forte coordinamento globale, che ad oggi è del tutto assente. Molti fanno risalire questa mancanza al presunto tentativo da parte delle Big Tech di innescare meccanismi di divide et impera proprio per impedire una reazione civile.
Qual è il rilievo delle problematiche sulla privacy dal punto di vista antitrust? È corretto che vengano trattate come due aspetti separati (ognuno con la propria autorità di controllo) o, in futuro, vedremo una progressiva sovrapposizione tra i due?
No, non è corretto. Il tema della privacy e quello delle normative antitrust sono interconnessi quando si parla di Big Tech. Queste ultime si basano sulla raccolta e sull’analisi dei dati sensibili dei loro utenti. Ciò significa che propongono un modello di business in cui l’acquisizione di un maggior numero di dati corrisponde ad un incremento nel posizionamento dell’azienda, ossia l’acquisizione o l’esclusione dal mercato di altre aziende nello stesso campo.
Dal 2008 al 2018, Google ha acquisito 168 aziende, facebook ne ha acquisite 71 e Amazon 60. I casi di antitrust hanno tempi lunghissimi, l’ultimo contro Google è durato 7 anni. Pensa che la proposta dell’Unione Europea del Digital Market Act sia uno strumento di controllo sufficiente?
Attualmente disponiamo di strumenti antitrust contro le Big Tech, ma questi presentano grossi limiti, non solo in termini di tempistiche, ma anche riguardo ai rimedi che prescrivono ed al rispettivo monitoraggio. Il Digital Market Act mira all’introduzione di regole più rigide, definisce le Big Tech precisamente come gatekeepers dominanti, e propone regolamentazioni ex ante piuttosto che ex post. Una soluzione alla quale si sta lavorando è quella di rendere i principi dell’ interconnettività e dell'interoperabilità applicabili alle Big Tech. Questi lo sono già in altri settori, ad esempio in quello della telecomunicazione. Infatti, cambiando operatore telefonico, non perdiamo la possibilità di chiamare i nostri vecchi contatti telefonici. Al contrario, se decidessimo di disinstallare Whatsapp ed utilizzare un suo sostituto, dovremmo persuadere tutti i nostri contatti a fare lo stesso per non perdere la possibilità di scambiare messaggi con loro. Una regolamentazione coerente con i precedenti principi darebbe una possibilità concreta alla concorrenza, che al momento è del tutto inesistente. Norme di questo tipo permetterebbero una riemersione della pressione competitiva dopo oltre un decennio di stagnazione.