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La bussola delle repubbliche baltiche: uno sguardo storico

FABIO LISSI

19/01/2022

Estonia, Lettonia e Lituania, spesso raggruppate insieme nella Storia e nella cronaca, addirittura confuse dai più distratti, sono in realtà tre entità molto diverse, che hanno però condiviso un destino per secoli molto comune.

Perché le repubbliche baltiche?

L’area baltica, termine con il quale si indicano solitamente le tre repubbliche di Estonia, Lettonia e Lituania (piuttosto che l’insieme di paesi affacciati sul Mar Baltico, comprendenti anche Danimarca, Svezia, Finlandia, Germania, Polonia e Russia) è una delle meno conosciute, ma allo stesso tempo più interessanti d’Europa. Paesi “giovani”, in entrambi i sensi, relativamente poco esposti al turismo di massa, ma in forte crescita, rappresentano la periferia Nord – Est dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica, delle quali sono membri dal 2004. Essendo direttamente esposte alla pressione russa per via della prossimità geografica, le tre repubbliche sono cruciali nella strategia NATO, ma in virtù degli accordi del 1997 (Russia – NATO Founding Act) sono vietati all’interno del loro territorio il dispiegamento di armamenti nucleari e lo stazionamento permanente di truppe dell’Alleanza. Ciononostante, i Paesi Baltici sono fra i più convinti sostenitori dell’integrazione europea e dell’appartenenza al campo atlantico, binomio senza il quale non potrebbero garantire la propria sicurezza (sono infatti il teatro dei NATO Enhanced Forward Presence Multinational Battlegroups). Ma, storicamente, dove possiamo collocare questi Stati? Sono davvero così omogenei come vengono comunemente raggruppati? Perché dovremmo tenerli d’occhio?


Est o Nord? Germaniche o russe?

Scandinavia, Germania, Polonia, Russia oppure un’entità a sé? Prima di tutto, occorre ricordare che l’area baltica non è etnicamente omogenea: estoni, lettoni e lituani sono stati da sempre dei gruppi ben diversi. Basti pensare alla lingua: se il lituano e il lettone possono classificarsi come ceppi baltici (indoeuropei), l’estone appartiene invece alla famiglia ugrofinnica, di cui fanno parte anche Ungheria e Finlandia. Per quanto riguarda lo sviluppo storico, invece, la Lituania è erede di un grande impero mitteleuropeo: la Confederazione Polacco – Lituana fondata dalla dinastia degli Jagelloni nel 1569, che nel momento di massima estensione arrivava a coprire tutto il territorio dalla Slesia all’Ucraina, dal Golfo di Riga al Mar Nero; questo regno vasto ed eterogeneo è stato poi spartito fra Prussia, Austria e Russia nel 1795. L’Estonia, è stata a lungo contesa fra danesi, svedesi, russi e tedeschi nel corso delle guerre per il predominio sul Baltico, mentre la Lettonia ha attraversato vicende diverse fra i suoi numerosi ducati di Livonia, Curlandia, Semigallia e infine Riga, l’antica città anseatica e sede dell’omonimo arcivescovado, oggi capitale della nazione. Inoltre, mentre la Lituania è storicamente un baluardo del cattolicesimo, nei due paesi più settentrionali è il protestantesimo luterano la confessione maggioritaria, importata dagli ordini teutonici poi convertiti, seguita dall’ortodossia della comunità russa. Oggi, i russi residenti negli Stati baltici sono circa 1,7 milioni, poco più della metà rispetto al periodo sovietico, mentre i tedeschi, che a seguito delle crociate livoniane erano arrivati a rappresentare circa il 10% della popolazione (con punte oltre il 40% nella città di Riga), oggi sono minoranze pressoché insignificanti. L’impronta russa e germanica, però, è tuttora facilmente tracciabile nei toponimi. Per prendere un esempio, Tartu, antica cittadina universitaria estone, accanto al proprio nome in lingua nazionale, conserva le due denominazioni di Dorpat (tedesco) e Jur’ev (russo). In Lituania, invece, basti pensare che la capitale storica, Vilnius (Wilno in polacco), è stata recuperata dalla Polonia solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, assieme a Klaipedia (Memel), riannessa al Reich prima del conflitto. Prima di allora, i lituani hanno dovuto spostare la sede delle istituzioni nella capitale ad hoc di Kaunas. Alla Scandinavia, invece, i tre paesi guardano ancora come a dei “fratelli maggiori”, come testimonia anche l’alta richiesta delle lingue svedese e finlandese sul mercato del lavoro. 


Un fardello ingombrante per la nuova “frontiera” dell’UE

Ricorreva l’11 novembre l’anniversario dell’armistizio tedesco che pose fine alla Prima guerra mondiale. Meno noto è però cosa accadde dopo quella data nell’Europa nord – orientale, eventi che hanno portato a una grande trasformazione delle frontiere e delle aree di influenza della zona. Diventate indipendenti dal Ducato Baltico Unito, erede dell’amministrazione militare dell’Ober – Ost di Ludendorff, le repubbliche baltiche sono state fin da subito impegnate in numerose guerre contro quel che rimaneva della Baltische Landeswher e dei Freikorps, contro la Polonia, contro l’URSS. Al termine dei conflitti, tutte e tre si proclamano repubbliche parlamentari, ma per via della permanente crisi economica ed istituzionale, degenerano presto in autocrazie. Tuttavia, l’indipendenza ha vita breve, Estonia e Lettonia vengono assegnate alla sfera di influenza sovietica dal Patto Molotov – Ribbentrop, mentre la Lituania tenta invano di ottenere il protettorato tedesco, solo per poi essere “barattata” in cambio di aggiustamenti territoriali sulla frontiera polacca. I sovietici, pur non annettendole formalmente per circa un anno (annessione mai riconosciuta dagli Alleati occidentali), occupano e collettivizzano tutte le attività economiche. Schiacciati fra due giganti, fra i due totalitarismi più sanguinari, nella Seconda guerra mondiale i cittadini estoni, lettoni e lituani si trovano forzatamente coscritti da entrambi i lati, chi si rifiuta di combattere sceglie l’esilio, prova a fuggire via mare o sceglie la guerriglia nelle foreste. Interessante è la vicenda dei “Fratelli della Foresta”, reduci delle divisioni SS che si rifiutano di deporre le armi dopo la capitolazione della “sacca di Curlandia” e continuano a effettuare operazioni di guerriglia fino al 1956. Il fatto che le formazioni fossero state autorizzate da Hitler crea dei problemi agli Alleati, che però concludono infine di non trattare le divisioni baltiche come quelle tedesche, e le sostengono; dunque, considerandole slegate dagli atti criminali da loro commessi e riconoscendo che da entrambi i lati i soldati fossero convinti a combattere dalla coscrizione e dalla vana speranza di vedersi riconoscere un’indipendenza mai promessa in primo luogo. Per dare una misura alle perdite, alla fine della guerra, fra caduti e deportati, la sola popolazione della Lettonia è ridotta di un terzo e la sua economia non ritornerà ai livelli prebellici per decenni. Dopo 46 anni di occupazione sovietica, nel settembre del 1991 le tre repubbliche dichiarano pacificamente l’indipendenza, unite anche in questo passo, come testimoniato dalla celebre “catena umana” di 600km del 30 agosto, che attraversava le tre capitali baltiche. 


Quali prospettive future?

Competitività fiscale, digitalizzazione, internazionalizzazione hanno rappresentato la carta vincente per queste tre giovani repubbliche. La Lituania ha puntato su un rapido sviluppo dei settori dell’industria, dei servizi e della pesca non appena si è aperta al mercato libero; anche in Lettonia, nonostante permangano profonde differenze fra la capitale e il resto del Paese, vi è stato un notevole sviluppo: la “Parigi del Baltico”, oltre a rappresentare più di un terzo della popolazione lettone e ad essere la più grande città della regione, contribuisce a circa metà della produzione industriale nazionale. In Estonia, il settore terziario ha trainato lo sviluppo del Paese, prima legato in gran parte alla compagnia di navigazione Tallink. Oggi, l’Estonia è il primo paese al mondo per competitività fiscale (Lettonia e Lituania si posizionano rispettivamente al secondo e quinto posto secondo la classifica del OECD) e il sedicesimo per libertà economica. Numerose iniziative sono state lanciate dai governi estoni per attrarre capitale ma soprattutto lavoratori altamente qualificati dall’estero: la e-residency permette di lavorare legalmente nel Paese anche da remoto, attirando un gran numero di “digital expats”, favoriti anche da una pubblica amministrazione al 100% digitalizzata e disponibile in lingua inglese. Solo per fare un esempio, dal 2016 ad oggi più di 4000 aziende britanniche hanno spostato la propria sede legale in Estonia senza trasferirsi fisicamente. Tuttavia, non tutto è oro quel che luccica: visitando le tre repubbliche nel 2020 appariva evidente anche a una prima occhiata la profonda frattura fra centri urbani e campagna, fra edifici dei quartieri finanziari e abitazioni periferiche. Le ferrovie costruite durante l’occupazione sovietica hanno uno scarto diverso da quelle europee e ci hanno reso impossibili gli spostamenti diretti via treno (anche se il problema dovrebbe essere risolto dal progetto di “metropolitana europea”, che collegherebbe con l’alta velocità le tre capitali a Varsavia e Berlino). Infine, nonostante Freedom House abbia classificato tutti e tre i paesi come “consolidated democracies” con punteggi compresi fra 78 e 84 su 100, la fiducia non omogeneamente diffusa nelle istituzioni democratiche, relativamente recenti, è anche probabilmente la causa di tassi di vaccinazione che si attestano solo attorno al 60%. Ad ogni modo, questi tre piccoli paesi dovrebbero essere tenuti d’occhio per il prossimo futuro sia per la loro rapida e virtuosa transizione al mercato libero, sia per il proprio ruolo nelle strategie militari, ma anche (perché no?) come nuove mete per giovani intraprendenti. 


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