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“Gli Americani vengono da Marte, gli Europei vengono da Venere”

DI ELEONORA RINALDI

23/02/2021

Partner storici, difensori dell’ordine liberale democratico, eredi di una storia comune che ne decretò il cambio del testimone per la posizione egemonica sullo scenario mondiale, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno a lungo fatto vanto della propria alleanza transatlantica. Tuttavia, dalla fine della Guerra Fredda, i due attori internazionali hanno assunto posizioni sempre più distanti nelle rispettive politiche estere tanto da far supporre che provengano da due mondi diversi.


Gli Americani vengono da Marte, gli Europei vengono da Venere, concordano su poco e si capiscono sempre meno”, con queste parole lo storico e politologo statunitense Robert Kagan, definì nel 2002, le crescenti differenze fra i due partner atlantici. Nel suo saggio “Power and Weakness”, Kagan offre una sapiente analisi delle divergenti posizioni che gli Stati Uniti, allora sotto la presidenza di George W. Bush, e l’Unione Europea che aveva da poco raggiunto l’unione monetaria, avevano intrapreso nelle rispettive relazioni internazionali.


Gli Stati Uniti sono l’esempio per eccellenza di hard power, in quanto superpotenza militarmente forte la cui politica estera è caratterizzata dal frequente uso della forza, dall’abituale ricorso ad azioni unilaterali anziché dall’utilizzo di forum ed organizzazioni internazionali, e dalla preferenza per politiche di coercizione piuttosto che per iniziative diplomatiche e tentativi di negoziazione. L’Unione Europea d’altra parte è il prototipo del soft power, una potenza prettamente economica e normativa, paladina del multilateralismo e acuta negoziatrice all’interno di realtà bilaterali o internazionali. La politica estera dell’UE, espressione del coordinamento e della convergenza di 27 diversi interessi e realtà statali, ha da sempre prediletto l’utilizzo di strumenti economici, come le sanzioni, o commerciali, come l’accesso al mercato unico europeo, all’uso militare, limitando quest’ultimo ad azioni umanitarie, missioni di peacekeeping e peace-building per il consolidamento e mantenimento della pace e operazioni di addestramento e sviluppo delle capacità di Paesi terzi.


A detta di Kagan, l’Unione Europea sarebbe ormai entrata nel mondo liberale e Kantiano della pace perpetua, mentre gli Stati Uniti continuerebbero ad agire come un auto-dichiarato arbitro internazionale, all’epoca incontrastato, nel mondo anarchico Hobsiano. Se l’Unione Europea ha potuto raggiungere questo nuovo mondo, la cui formazione si è fondata sul rifiuto della guerra in virtù della forte interdipendenza economica dei suoi Stati membri e dell’adozione di istituzioni sovranazionali, è esattamente grazie al fatto che gli Stati Uniti siano rimasti nel loro mondo anarchico. La garanzia di protezione militare statunitense ha consentito all’UE non solo di svilupparsi economicamente, divenendo ad oggi il più grande blocco commerciale e il primo esportatore al mondo, ma di raggiungere anche l’allargamento di ben 11 Paesi, riunificando quasi nella sua interezza il continente europeo, uno sforzo che le valse il Premio Nobel per la Pace nel 2012.


Le differenze fra i due attori così saldamente ancorate alla loro storia, al diverso assetto istituzionale e alle rispettive direzioni internazionali, con ogni probabilità non si sarebbero certo attutite secondo l’autore, il quale prevedeva un futuro di crescenti tensioni transatlantiche; auspicando nondimeno una rinnovata volontà di collaborazione fra le due potenze. A distanza di due decenni e dell’appena conclusa amministrazione Trump, si può ben affermare che le previsioni di Kagan siano state più che fedeli alla realtà.


L’amministrazione Trump


Il ben noto slogan “America first” così incessantemente ripetuto durante la campagna elettorale di Donald Trump, dal suo insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio 2017, si è tradotto in una politica estera dichiaratamente unilaterale. Trump ha interpretato le relazioni internazionali come una serie di rapporti bilaterali fra singoli Stati, al fine di massimizzare i propri benefici in un’ottica di breve termine, puntando sulla forza negoziale degli Stati Uniti, in una visione che non ha tenuto per nulla conto dei possibili risvolti dannosi sul piano internazionale a medio e lungo termine. La noncuranza americana verso il multilateralismo, caratteristica intrinseca dell’identità e dell’azione europea, il sentimento euroscettico che ha visto Trump schierarsi a favore della Brexit e l’aggressiva politica commerciale protezionista, indirizzata non solo al competitor cinese, ma agli stessi alleati transatlantici, hanno generato un distanziamento con l’Unione Europea senza precedenti.


Se si dovesse riassumere in una parola la posizione della passata amministrazione Trump all’interno dei forum internazionali, disimpegno sarebbe il termine più appropriato. Tale disimpegno si è tradotto ad esempio con l’uscita degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima; con il blocco dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cui corte d’appello - organismo di risoluzione delle controversie commerciali - è stata sabotata da Trump attraverso la sospensione della nomina dei nuovi giudici richiesti per proseguirne l’operato; con il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi sul nucleare iraniano - il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) tra Iran, Unione europea e i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - e con la rinuncia del Trade Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio precedentemente negoziato da Obama con 12 Paesi, fra cui molti del sud-est asiatico, al fine di contrastare la presenza cinese nella zona. Il ripiegamento nazionalista e protezionista di Trump ha conseguentemente creato un vuoto all’interno di numerose organizzazioni internazionali che la Cina ha saputo abilmente sfruttare a proprio vantaggio, rafforzando e talvolta abusando della propria influenza.


L’Unione europea ha più volte criticato le posizioni di Donald Trump, tuttavia l’allontanamento del partner americano ha innescato la reazione degli Stati membri in favore di una rinnovata convergenza di intenti circa lo sviluppo e il rafforzamento della propria autonomia strategica in materia di difesa. La necessità di una maggiore indipendenza europea dagli Stati Uniti nel perseguimento delle proprie missioni all’estero è stata ufficialmente dichiarata nel 2017 nell’ambizioso documento “La Strategia Globale dell’UE” (EU Global Strategy) per la politica estera e di sicurezza.


La nuova presidenza BIDEN: un nuovo inizio?


L’elezione di Joe Biden, aperto sostenitore del multilateralismo, è stata positivamente accolta dagli Stati europei, i quali hanno comunemente espresso il desiderio di un riavvicinamento dei rapporti con gli Stati Uniti e di una maggiore cooperazione all’interno delle organizzazioni internazionali. "Siamo il miglior partner e il miglior alleato che gli Stati Uniti possano avere al mondo e la ricerca di un'autonomia strategica non muta questo dato di fatto. Non saremo una minaccia, ma un alleato con maggiori capacità delle quali la Nato sarà naturale beneficiario, un bene anche per gli Usa" afferma in un’intervista a Repubblica Joseph Borell, Alto Rappresentante per la politica estera europea e vice presidente della Commissione. Ricambiando l’auspicio europeo di un rafforzamento dell’alleanza transatlantica, Biden ha dato inizio alla propria presidenza firmando il ritorno degli Stati Uniti negli Accordi di Parigi sul clima, riprendendo il dialogo multilaterale con Iran e UE sul JCPOA al fine di negoziarne il proprio rientro e dichiarando di voler consolidare la posizione statunitense all’interno dell’OMS.


Seppur distanti e fondamentalmente diversi, un dialogo rafforzato tra “i due mondi” farebbe indubbiamente la differenza nella lotta alla pandemia, nella liberalizzazione del commercio, nell’impegno verso il cambiamento climatico, così come nella questione cinese.’utilizzo coordinato di sanzioni e la riforma della WTO portata avanti da UE e USA, potrebbe opporre una valida risposta al rivale sistemico cinese.


È altresì vero che la maggior parte delle priorità di Joe Biden rimangono al momento interne agli Stati Uniti, volte innanzitutto a riunificare il tessuto americano ed affrontare efficacemente la pandemia e la crisi economica in atto. Numerose sono le sfide che la nuova amministrazione statunitense da una parte e l’Unione europea e la sua Next EU Generation, dall’altra, dovranno affrontare, forse, un avvicinamento e una nuova convergenza di intenti e di azioni tra i due storici alleati è ancora possibile.

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