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Perù tra crisi politica e violenza urbana (di nuovo)

Di Alice di Norscia

29/10/2025

Negli ultimi giorni il Perù è precipitato in un nuovo caos politico: il Congresso ha destituito la presidente Dina Boluarte per “incapacità morale permanente”, accusandola di non aver controllato la criminalità dilagante. Al suo posto è subentrato José Enrique Jerí, che ha proclamato lo stato d’emergenza a Lima e Callao e promesso “mano dura” contro la delinquenza. Tuttavia, la misura suscita timori di repressione e non convince un’opinione pubblica stremata da anni di instabilità, violenza e sfiducia nelle istituzioni.

Sono diversi, negli ultimi giorni, i video che circolano online sui disordini che stanno attraversando Lima. Numerose le manifestazioni e gli scontri, in un Paese che è nel caos da diverso tempo. Ma, nello specifico, cosa sta succedendo negli ultimi giorni?

La notte tra il 23 e il 24 ottobre, il Perù ha vissuto un nuovo terremoto politico. Con 121 voti favorevoli su 130, il Congresso ha approvato la mozione di vacanza per “incapacità morale permanente” contro la presidente Dina Boluarte, accusata di non aver saputo contenere l’ondata di criminalità che da mesi affligge il Paese. È la seconda volta in meno di tre anni che il Parlamento peruviano ricorre a questa misura estrema, dopo la destituzione di Pedro Castillo nel dicembre 2022, evento che aveva portato proprio Boluarte al potere.

L’opposizione ha sostenuto che il governo avesse perso ogni controllo sulla sicurezza interna, mentre bande criminali e organizzazioni di estorsori hanno trasformato le periferie di Lima e del Callao in zone di guerra urbana. Nonostante l’invito del Congresso a presentarsi per la propria difesa, la presidente ha scelto di non comparire, inviando solo una dichiarazione del suo avvocato, Juan Carlos Portugal, che ha denunciato la “violazione del dovuto processo”.

Poche ore dopo la destituzione, Boluarte si è rivolta alla nazione dal Palazzo di Governo, rivendicando la propria onestà e chiamando ancora una volta all’unità nazionale. Le sue parole, però, sono apparse prive della forza necessaria per invertire una traiettoria segnata da un tasso di disapprovazione del 93%, secondo un sondaggio di Datum International.


Il ritorno dell’ordine (militare): l’era Jerí

In base alla Costituzione, la presidenza è passata al presidente del Congresso, José Enrique Jerí Oré, che ha assunto la guida del Paese promettendo “mano dura” contro la criminalità. Il suo primo atto di governo è stato la proclamazione dello stato di emergenza per Lima Metropolitana e il Callao, in vigore per 30 giorni a partire dalla mezzanotte del 23 ottobre.

“La guerra contro la delinquenza si vince con azioni, non con parole”, ha dichiarato Jerí nel suo brevissimo messaggio televisivo, circondato dai ministri del suo neonato gabinetto. Le sue parole, tuttavia, hanno lasciato aperte molte domande: nessuna misura concreta è stata esplicitata nel discorso, che si è limitato a un appello alla “recuperazione della pace e della fiducia dei peruviani”.

Il premier Ernesto Álvarez ha successivamente annunciato che l’emergenza sarà accompagnata da un pacchetto di misure straordinarie, tra cui il pattugliamento congiunto di polizia e forze armate, la limitazione del transito di due persone su motociclette — spesso usate dagli estorsori per colpire — e il controllo più rigido delle comunicazioni all’interno delle carceri. Tuttavia, analisti e organizzazioni civili temono che l’intervento militare serva più a reprimere le proteste sociali che a combattere la delinquenza.


La violenza quotidiana e la paura come condizione sociale

L’emergenza dichiarata da Jerí si inserisce in un contesto di violenza crescente. Solo nel 2025, secondo dati dell’Istituto Nazionale di Statistica e Informatica, il 59% dei cittadini considera la criminalità il principale problema del Paese. Le estorsioni sono diventate pratica comune nel settore del trasporto urbano: più di 180 autisti e bigliettai sono stati assassinati per essersi rifiutati di pagare “quote” alle mafie locali.

Nei giorni successivi alla proclamazione dello stato d’emergenza, due nuovi omicidi hanno scosso il Callao. Entrambe le vittime erano conducenti di mezzi pubblici, colpiti a morte in piena strada da uomini a bordo di motociclette. I colleghi hanno reagito con proteste e blocchi stradali, denunciando un sistema di estorsione che chiede fino a cinque soles al giorno per poter lavorare “in pace”.


Una (nuova) emergenza

Il governo Boluarte aveva già decretato vari stati di emergenza, tutti inefficaci. L’attuale misura, perciò, è accolta con scetticismo. In passato, interventi simili hanno spesso coinciso con tentativi del potere esecutivo di contenere il dissenso politico piuttosto che la criminalità. Non è un caso che l’annuncio di Jerí sia giunto pochi giorni dopo la marcia nazionale del 15 ottobre, durante la quale un giovane artista hip hop, Eduardo Ruiz Sáenz, è stato ucciso da un agente di polizia in borghese.

Il caso Ruiz, che ha provocato indignazione e veglie in tutto il Paese, rappresenta simbolicamente il cortocircuito tra sicurezza e repressione che segna il nuovo corso politico. Il Tribunale Costituzionale peruviano, in precedenti pronunce, ha ricordato che lo stato d’emergenza deve essere “uno strumento eccezionale e temporaneo”, non una scorciatoia autoritaria per gestire la crisi.


Un Paese sospeso

Il Perù entra così in una nuova fase della sua crisi politica permanente, oscillando tra instabilità istituzionale e insicurezza urbana. Il governo di transizione di José Jerí, incaricato di traghettare il Paese verso le elezioni di aprile 2026, deve ora dimostrare che la lotta contro il crimine non si tradurrà in un restringimento delle libertà civili.

Mentre le strade di Lima si riempiono di militari e il rumore degli elicotteri accompagna la vita quotidiana, la sensazione diffusa è che la violenza non provenga più soltanto dal crimine organizzato, ma anche dall’incertezza politica. In un Paese che ha cambiato sei presidenti in sette anni, la stabilità sembra oggi il bene più raro.

Lo scenario è tutt’altro che promettente, ma come sappiamo il Perù è un paese piuttosto imprevedibile. Tutto ciò che possiamo fare è continuare a guardare, augurandoci che i peruviani trovino presto una (meritatissima) stabilità.

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