“Razza”: come un termine scientificamente superato trova ancora spazio nelle nostre costituzioni
DI SAMUELE ARIOLI
17/02/2021
“Mantenere il termine razza nella Costituzione significa dire: guardate che il razzismo è una malattia che esiste ancora." Così si esprimeva Paolo Grossi, Presidente della Corte Costituzionale dal 2016 al 2018. All'estero però, leader politici stanno considerando di sostituire la parola “razza” con un’espressione alternativa che comunque possa mantenere valide le leggi antidiscriminatorie
“Mantenere il termine razza nella Costituzione significa dire: guardate che il razzismo è una malattia che esiste ancora. E finché esistono questi fenomeni orrendi, io di quella parola ho necessità”. Così si esprimeva Paolo Grossi, Presidente della Corte Costituzionale dal 2016 al 2018, in un’intervista di la Repubblica nel 2018. Per quanto riconosca la mancanza di senso in una “parola maledetta”, che la scienza da anni cerca di combattere, egli afferma che la sua presenza nella Carta sia funzionale all’eliminazione dalla vita della democrazia italiana di discriminazioni motivate da presunte condizioni razziali. Al di fuori dell’Italia, però, si sono registrati recentemente alcuni scenari in cui leader politici starebbero considerando di sostituire la parola “razza” con un’espressione alternativa che comunque possa mantenere valide le leggi antidiscriminatorie: è il caso della Germania. Il governo federale tedesco, infatti, proporrà la cancellazione della parola ora presente nell’art. 3.3 del Grundgesetz, in favore di un aggiustamento linguistico. È un segnale di vero cambiamento, il prodotto di anni di lotta i cui ultimi sintomi si sono manifestati lo scorso anno negli Stati Uniti per poi espandersi a macchia d’olio nel resto del mondo. Prima della Germania, la Francia: secondo il progetto di riforma costituzionale elaborato nel 2018 e ancora in attesa dell’approvazione finale, l’art. 1 della Costituzione dovrebbe infatti non presentare più il termine francese race e, in aggiunta, includere il divieto di ogni distinzione di sesso.
Una premessa però è doverosa. Dal momento che non è possibile analizzare in poche pagine lo sviluppo di un fenomeno politico sociale così complesso quale è il razzismo, mi limiterò a richiamare alcuni cenni storici riguardo alle teorie razziali/razziste otto novecentesche che, nel secolo scorso, costituirono le fondamenta del pensiero nazista e fascista, per poi approdare alle nuove scoperte scientifiche e alle loro conseguenze sul mondo della legge.
Panoramica storica
Uno dei massimi teorici del pensiero razzista è di certo il diplomatico e filosofo Joseph Arthur de Gobineau (1816-1882), il quale, nel famoso Essai sur l'inégalité des races humaines (1853-1855), affermava l’esistenza, sul piano sia biologico sia caratteriale, di differenze intrinseche a ciascuna razza umana. All’apice di una presunta scala valutativa veniva posta la razza ariana, precisamente di ceppo germanico: essa rappresentava il culmine dello sviluppo umano. Il suo prestigio, però - diceva Gobineau - non può essere garantito senza una salvaguardia della sua purezza; in altre parole, senza il suo isolamento dalle altre razze inferiori.
Nel secolo successivo, il razzismo pseudo-scientifico di Gobineau divenne uno dei principi ispiratori dell’ideologia nazista, insieme al darwinismo sociale, all'antisemitismo e all’estremo nazionalismo.
La famosa Kristallnacht è una visibile manifestazione del sentimento generale di odio razziale che invadeva la Germania del Terzo Reich e non solo: nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, aderenti al Partito Nazionalsocialista, ufficiali SA e membri della Gioventù hitleriana organizzarono un terribile pogrom contro gli ebrei. La “Notte dei cristalli” deve infatti il suo nome ai cocci di vetro che ricoprivano la strade dopo che le vetrine di negozi, sinagoghe ed edifici appartenenti a ebrei erano state distrutte. Il colpo partì dal governo, che tre anni prima aveva promulgato le note leggi di Norimberga (15 settembre 1935), ovvero un corpo di due leggi, la prima “sulla cittadinanza” (Reichsbürger-Gesetz) e la seconda “sulla protezione del sangue e sull’onore tedesco” (Gesetz “zum Schutze des deutschen Blutes und der deutschen Ehre”).
Simile era la situazione nell’Italia fascista, dove nell’anno 1938 vennero approvate le leggi razziali, o razziste: un corpo di regi decreti, firmato da Benito Mussolini in qualità di capo di governo e poi promulgato dal re Vittorio Emanuele III.
Molti altri sono gli esempi di norme o scenari politici discriminatori che si potrebbero citare. Dalle leggi della politica dell’apartheid di D.F. Malan in Sud Africa (1948-1991) all’indifferenza del sistema legislativo nipponico, ancora oggi, nei confronti di coloro che compiono attività xenofobe. Tuttavia, credo sia più opportuno procedere nel discorso trattando come il termine “razza” oggi passi inosservato, facendo credere che, se si parla di “razze” (umane), di queste ci sia effettivamente traccia.
Alcuni esempi
Di seguito, alcuni estratti di articoli di trattati internazionali (tutti ratificati dalla Repubblica Italiana), in cui la parola “razza” appare esplicitamente.
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 21.1: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.”
Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1966), art. 2: “Gli Stati contraenti condannano la discriminazione razziale e si impegnano a continuare, con tutti i mezzi adeguati e senza indugio, una politica tendente ad eliminare ogni forma di discriminazione razziale ed a favorire l'intesa tra tutte le razze (...).”
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 2: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.”
Jena Declaration
Arrivati a questo punto del discorso, uno potrebbe chiedersi se e perché sia tanto necessario eliminare questa “parola maledetta”, sulla quale molti studiosi stanno tuttora dibattendo. Per rispondere a tale interrogativo, tornano utili le ricerche sul fenomeno del razzismo condotte recentemente dai professori della Friedrich
Schiller-Universität Jena, Martin S. Fischer, Uwe Hoßfeld, Johannes Krause e Stefan Richter, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2019 all’interno della Jena Declaration (disponibile online sul sito dell’università). Nel testo si legge che, anche dopo gli orrori dei regimi fascisti, si fa ancora uso del termine “razza” in riferimento alle diverse comunità e gruppi umani, anche se manca una base biologica scientificamente provata. Questo perché il concetto di razza è il risultato del razzismo, non il suo prerequisito.
Gli scienziati si sono più volte domandati se le razze in generale - e le razze umane in particolare - siano una realtà biologica o se, invece, rappresentino unicamente un costrutto sociale, il prodotto della mente umana. Per l’influente biologo Ernst Mayr, le razze umane corrisponderebbero a dei tipi geografici: egli infatti enfatizzò la differenza tassonomica tra popolazioni appartenenti alla medesima specie ma separate geograficamente. Tuttavia, stabilire quale differenza tassonomica sia sufficiente per fare di un gruppo umano una razza è completamente arbitrario. Questo non significa che non esista una varietà genetica lungo un gradiente geografico, ma che la valutazione tassonomica di questa varietà sia il prodotto della nostra mente (o immaginazione). E questo è soprattutto il caso degli umani, dove le più vaste differenze genetiche si trovano all’interno di una popolazione, non tra popolazioni. Il collegamento tra caratteristiche fenotipiche, come il colore della pelle, e determinati tratti della personalità o del comportamento di un
individuo - pratica comune nel campo del razzismo antropologico - è ormai stato rifiutato dalla maggior parte dei membri della comunità scientifica. Inoltre, non è presente alcun legame scientificamente provato tra intelligenza e origine geografica, ma vi è una profonda correlazione tra intelligenza e condizione sociale.
Al tempo in cui la Costituzione italiana venne redatta, la scienza non era ancora in grado di dimostrare inequivocabilmente che le razze umane non esistono, ma l’art. 3 è stato formulato per denunciare ogni atto discriminatorio basato sulla loro presunta esistenza. Il problema dunque non è soltanto interrogarci sul significato del termine, ma anche sull’influenza che esso esercita sulla società. Cambiare la parola “razza” con “etnia” potrebbe essere più giusto dal punto di vista scientifico, ma non costituisce anch’esso una categorizzazione sociale? Al posto dunque di eliminare ogni differenza, non dovremmo forse essere soltanto più tolleranti?
Eliminare il razzismo non vuol dire mostrare e
Convincersi che gli Altri son diversi da noi,
Ma comprendere e accettare la loro diversità.
Umberto Eco