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Una corsa agli armamenti in Europa?

DI ELISABETTA SEMERARO

18/03/2025

“Siamo in un’era di riarmo, e l’Europa è pronta ad aumentare enormemente la spesa per la difesa, sia per rispondere all’urgenza di agire a breve termine e sostenere l’Ucraina; sia per affrontare le esigenze a lungo termine di assumerci maggiori responsabilità per la sicurezza europea”. Queste sono le parole con cui Ursula Von der Leyen ha annunciato il piano ReArm Europe approvato lo scorso 6 marzo presso il Consiglio europeo a Bruxelles: una manovra da 800 miliardi, devoluti tutti in sicurezza.

L’annuncio arriva a seguito del blocco degli aiuti finanziari all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, che con la rielezione di Trump hanno assunto una posizione a livello internazionale protezionistica da un lato, e ricattatoria e minacciosa dall’altro. In questo panorama di evoluzione repentina degli equilibri internazionali è urgente più che mai una maggiore attenzione all’integrazione e al coordinamento europei anche in materia di sicurezza. L’Europa sta affrontando la più grande minaccia militare alla sua integrità e sicurezza dagli anni della guerra fredda. Le dichiarazioni e azioni dell’amministrazione Trump hanno certamente aumentato il timore e la preoccupazione sul futuro atteggiamento di Washington nei confronti degli alleati NATO e dell’Unione stessa. In questo contesto il Parlamento europeo evidenzia che gli sforzi di sicurezza europea non possono essere lenti, frammentati e indecisi: occorre un’azione congiunta del settore industriale, tecnologico e dell’intelligence.


Gli Stati membri dovranno trovare risorse interne per finanziare il riarmo, ricorrendo a procedure di deficit se necessario, e utilizzando anche parte dei Fondi di coesione europei, devoluti normalmente in aiuti sociali e civili soprattutto nelle aree più svantaggiate dell’Unione. Il problema principale di questo piano è che in realtà si tratta di un’azione in cui l’Europa farà da intermediario: il conto verrà pagato dagli Stati  attraverso un debito maggiore rispetto a quello consentito dal patto di stabilità o perché dovranno restituire i soldi prestati. Il rimborso del debito alla fine andrà a diminuire la spesa sociale, riallocando quelle somme in spesa militare. Una parte del finanziamento avverrà anche tramite investimenti privati, mentre la Banca europea per gli investimenti potrà operare finanziando il settore difensivo europeo.


Chi beneficia del riarmo?

Le spese militari hanno iniziato ad essere parte preponderante dell’agenda europea soprattutto a partire dall’invasione russa dell’Ucraina, seguendo un trend di aumento progressivo degli investimenti nel campo della sicurezza e della difesa. L’agenda europea ha subito così un brusco cambio di rotta dal primo al secondo mandato della presidenza Ursula von der Leyen, ed un'ulteriore accelerazione verso il riarmo come reazione alla politica estera di Trump. Ma chi beneficerà di questo spostamento? I profitti dell’industria bellica sono incrementati enormemente negli ultimi 10 anni in particolare nel panorama comunitario, arrivando a superare un guadagno complessivo di 600 miliardi. La prospettiva di incrementare ulteriormente i finanziamenti pubblici nel settore finirà col favorire enormemente interessi privati e finanziari sottraendo risorse per il settore del welfare. L’aspetto problematico del piano di difesa, che molti esperti sottolineano, è la necessità di spendere “meglio” e non “di più”. Le spese militari in Europa sono per lo più non coordinate, poco efficienti o razionali. La difesa europea deve essere inserita in un contesto più ampio, investendo nelle tecnologie del futuro.


La posizione dell’Italia

La posizione del governo italiano è piuttosto ambigua. Al suo interno la maggioranza è divisa. La Lega è fermamente contraria al piano di riarmo della Commissione, mentre il presidente Meloni con il suo partito, e Forza Italia spingono per un piano di difesa comune e investimenti per la sicurezza e la difesa unica europea. L’11 marzo il Ministro dell’economia Giorgetti ha presentato in Europa una proposta alternativa che limiti il finanziamento pubblico e coinvolga nel piano di “riconversione” industriale attori e capitali privati.

L’opposizione a sua volta presenta sull’argomento posizioni diversificate e contrastanti. Il Movimento Cinque Stelle è radicalmente contrario al riarmo e alla stessa fornitura di armi all’Ucraina, il PD è diviso al suo interno tra chi riconosce l’urgenza e la necessità di provvedere al riarmo e chi ritiene che le somme prefigurate di investimento andrebbero utilizzate per altri settori ed urgenze e che bisognerebbe puntare su un piano di potenziamento della difesa comune europea. I prossimi giorni saranno decisivi per valutare gli esiti delle trattative in corso e verificare la composizione delle diverse anime dei partiti e degli schieramenti nazionali.

Negli altri Paesi europei si trovano vari schieramenti e posizioni divergenti sul riarmo. Macron è per la nuova “era del riarmo”, e spinge affinché in Europa gli sforzi siano congiunti per far fronte alla minaccia russa, soprattutto militarmente. Polemiche sono imperversate per quanto riguarda un potenziale utilizzo dell’ “ombrello nucleare francese”, autonomo rispetto agli USA a differenza di quello inglese, per la difesa di altri Paesi europei, pur mantenendo il controllo francese. Contrasti sono apparsi anche rispetto al sostegno all’Ucraina, che ad esempio vede il mancato sostegno del premier ungherese Viktor Orban.


Cosa ci attende in futuro?

Un aspetto discusso da anni ma mai messo in atto riguarda la creazione di un esercito comune europeo. Nel piano di azione approvato dal Consiglio europeo viene posta attenzione anche al coordinamento degli investimenti militari dei singoli Stati membri, in campo tecnologico e bellico, promuovendo acquisti comuni di armamenti standardizzati. Che questo sia il primo passo verso una sempre maggiore cooperazione e integrazione nell’ambito della difesa? L’UE in generale non ha mandato nei suoi trattati, per quanto concerne la difesa territoriale, mentre per i Paesi dell’UE membri della NATO valgono gli oneri stabiliti dal trattato di Washington. Solo la NATO ha un comando strategico nei Paesi europei aderenti, con proprie basi e forze semi-permanenti. L’idea di un esercito europeo non può ovviamente essere improvvisata, occorre una decisione unanime dei Paesi membri, alcuni dei quali sono neutrali, e una programmazione strategica di anni.

Ciò che è sostenuto da molti studiosi è che la sicurezza non provenga da un riarmo generalizzato: le spese militari mondiali sono più che raddoppiate negli ultimi dieci anni, eppure la pace mondiale è continuamente minacciata dalla proliferazione dei conflitti, e nelle guerre le vittime civili sono quelle che pagano le conseguenze peggiori. La guerra è tornata in Europa a partire dall’invasione russa dell’Ucraina, in Palestina non si intravedono prospettive di negoziati con esiti positivi, le tensioni e le polarizzazioni tra le superpotenze sono a livelli critici e focolai regionali rischiano di far deflagrare intere nazioni in Africa e Medio Oriente.  In questo scenario c’è da chiedersi se la corsa al riarmo faccia parte della soluzione o piuttosto del problema. E se davvero le relazioni diplomatiche e la risoluzione non violenta dei conflitti avessero esaurito la loro funzione ed efficacia? Dobbiamo rassegnarci al ricorso alla deterrenza armata e alla minaccia dell’uso della forza come unica via per risolvere le controversie internazionali?

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