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Il sistema politico iraniano: verticismo o
fede?

DI MARCO CARAGNANO

6/05/2020

Malgrado le avversità, Teheran sembra inarrestabile: dall’accordo sul nucleare alla gestione dell’emergenza sanitaria e della crisi economica, negli ultimi due anni il sistema politico iraniano ha affrontato situazioni delicate, facendo emergere le diverse facce e i diversi interessi che caratterizzano una società eterogenea.

Per quanto ancora reggerà la struttura del potere in Iran? E, soprattutto, quanto a lungo il popolo sottomesso resterà tale?

Negli ultimi due anni, l’Iran è stato scosso da molteplici situazioni: il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, il ripristino delle sanzioni e la crisi economica e produttiva che ne è conseguita; inoltre si sono moltiplicate le proteste dei giovani. Queste si sono placate a seguito dell’evento che più ha sconvolto l’animo degli iraniani: l’uccisione da parte americana del Generale delle Forze QUDS, Qassem Soulimani, contestualmente all’abbattimento di un aereo di linea ucraino con a bordo 176 persone, per lo più iraniane. Se aggiungiamo l’epidemia da Coronavirus, possiamo affermare che l’Iran non stia vivendo il suo periodo migliore.

Come si è comportata la sua leadership, e come viene vista dai cittadini? In parte lo abbiamo già visto il 23 Febbraio 2020, quando il popolo iraniano è stato chiamato alle urne per eleggere parte del Parlamento. Le elezioni proseguiranno poi nel 2021 con la scelta del nuovo Presidente della Repubblica.

Ma come funziona il sistema politico iraniano? Quali sono le diverse facce di questa società così profondamente scossa? Qual è stato l’esito delle urne e che ne sarà della politica iraniana post-elezioni?

La piramide tripartita

Se per noi italiani l’anno cruciale è stato il 1945, anno della liberazione dal nazi-fascismo, per gli iraniani fu il 1979, quando l’ayatollah Rutollah Khomeini riuscì a deporre lo scià filo-occidentale Reza Pahlavi, inaugurando l’odierna Repubblica Islamica: l’Iran infatti è una teocrazia. Il progetto di Khomeini era creare un sistema politico conforme ai dettami del Corano e della dottrina islamica-sciita: ogni decisione politica deve essere vagliata e approvata dagli esperti della dottrina e dagli organi religiosi. Potremmo immaginare la struttura del potere iraniano come una piramide, al cui vertice troviamo le autorità religiose: tra queste la più importante è la Guida Suprema (il primo a ricoprire questo ruolo fu Khomeini; oggi l’onere spetta ad Ali Khamenei). La Guida Suprema è un primus inter pares eletto dall’Assemblea degli Esperti, composta da 86 studiosi della dottrina islamica e ha il compito, a sua volta, di nominare il Consiglio dei Guardiani, composto da 12 membri cui spetta il gravoso compito di vagliare le candidature alla Presidenza della Repubblica e controllare l’operato del Governo e del Parlamento, affinchè sia in linea col Corano.

Il cuore della piramide è occupato dalle autorità politiche espressioni del popolo iraniano: il responsabile del potere esecutivo in Iran è il Presidente della Repubblica (oggi Hassan Rouhani), eletto a suffragio universale diretto con mandato quadriennale. Il Presidente nomina a sua volta il Consiglio dei Ministri, col quale elabora le proposte da sottoporre al vaglio di un altro organo parimenti importante, l’Assemblea Consultiva Islamica: anche nota come “Majles”, è l’omologa iraniana di un qualsiasi Parlamento nazionale, ed è composta da 290 membri eletti ogni 4 anni. L’Assemblea ha il compito di approvare le proposte di legge dell’esecutivo e il suo operato è rigidamente controllato dal Consiglio dei Guardiani.

La base della piramide è composta dalla società civile, chiamata alle urne per eleggere sia il Majiles sia il Presidente della Repubblica (gli anni delle elezioni per entrambi gli organi non sempre coincidono); tuttavia la società civile appartiene a una generazione successiva, moderna, liberale, al contrario della generazione del ’79 che occupa il vertice della piramide. I rapporti tra queste generazioni hanno innescato profondi mutamenti all’interno del sistema politico iraniano, e saranno oggetto del prossimo paragrafo.

La società iraniana: una e trina

La metafora della piramide può essere adottata anche per descrivere la divisione della società iraniana, classificabile in tre generazioni, diverse tra di loro per il modo con cui concepiscono i diritti e il ruolo dell’Iran nella geopolitica mondiale. La prima generazione è quella che ha vissuto la transizione dalla monarchia alla repubblica teocratica: fondamentalmente è rappresentata dalla “casta” religiosa che occupa il vertice del potere iraniano. Ad oggi si tratta di persone per lo più anziane cresciute sotto un’ottica anti-americana e anti-russa ed è dedita al mantenimento della struttura teocratica e delle prerogative che spettano alle autorità religiose.

Il loro atteggiamento si scontra con quello della seconda generazione, nata attraverso il consolidamento delle forze armate, in particolare i pasdaran, istituite dalla prima generazione per difendere la teocrazia persiana. I pasdaran, dopo il quasi decennale conflitto contro l’Iraq, hanno visto il loro consenso salire alle stelle e la loro posizione consolidarsi sempre di più, tant’è che negli ultimi due decenni del XX secolo le frizioni tra le due generazioni sono aumentate. Nel 2005 venne eletto il primo Presidente della Repubblica appartenente alla seconda generazione, Mahmud Ahmadinejad. Il neo-eletto dimostrò quanto le divergenze tra le due generazioni fossero evidenti e fu il primo a lanciare un programma missilistico e nucleare iraniano, contrariamente a quanto fatto dalla prima generazione. Ahmadinejad può essere considerato un Presidente populista e ultra-conservatore, noto per aver stretto rapporti di collaborazione con la Russia ma anche per le violente repressioni con le quali soffocava le rivolte di gran parte della società civile, che costituisce la terza generazione.

La terza generazione è la più numerosa: composta prevalentemente da under-35, è una generazione che non ha vissuto nè l’entusiasmo della rivoluzione khomeinista nè gli orrori del conflitto. Cresciuti con internet e la possibilità di conoscere il mondo, i giovani iraniani provano un grande risentimento nei confronti dell’“establishment” iraniano, chiuso alle istanze provenienti dalla società civile e per niente disposto a condividere il potere con essa. Sembra quindi che la società iraniana sia profondamente divisa, ma esiste un collante che la tiene unita: l’orgoglio di far parte di una Nazione storica e importante ma soggiogata dall’Occidente e dalla Comunità Internazionale. L’uccisione di Soulimani non ha fatto altro che esacerbare il nazionalismo persiano e l’unità sociale, convogliati verso il grande nemico di sempre: gli Stati Uniti d’America.

Elezioni 2020: desiderio o necessità di alternare la classe politica?

Per capire il clima delle elezioni del 23 Febbraio 2020, ricapitolare gli eventi politici antecedenti può farci comodo. Il bilancio del Governo precedente, quello di Ahmadinejad, fu pessimo: le sue politiche causarono un deficit di almeno 44 miliardi di dollari e un calo dell’export di petrolio pari a 1,058 miliardi. Nel 2013 fu sostituito da Hassan Rouhani, un politico riformista, acerrimo nemico di Ahmadinejad. Rouhani ha dovuto far fronte alle sanzioni imposte all’Iran per lo sviluppo di un programma nucleare autonomo e soprattutto ha dovuto ripristinare la buona immagine della nazione dopo la politica estera scellerata del suo predecessore. Riuscì a riallacciare i rapporti con gli Stati Uniti e nel 2015 firmò il JCPOA, un trattato che vincolava l’Iran a smantellare le riserve di uranio arricchito e ad accantonare l’idea di uno sviluppo nucleare proprio.

Tutto è cambiato quando gli USA di Trump sono usciti  dall’accordo nel 2018 e quando hanno ucciso Soulimani, fedele collaboratore del regime. L’Iran è rimasto sotto shock e la diffusione del Coronavirus peggiora la situazione: come risultato, il clima sotto il quale si sono svolte le elezioni è stato pesante, il panico si è diffuso e l’odio verso l’Occidente è proliferato. L’affluenza alle urne è stata la più bassa dal 1979 (45%) e gli exit poll hanno confermato ciò che era largamente previsto: una vittoria schiacciante degli ultra-conservatori che testimonia una defezione verso il Presidente Rouhani, “capro espiatorio” delle rivolte scoppiate nell’ultimo periodo, considerato incapace di risolvere una crisi economica pesantissima, anche a causa dell’accordo di non-proliferazione nucleare da lui adottato e delle sanzioni imposte dagli USA.

Il quadro parlamentare comunque è ancora incompleto, dato che dovranno essere ancora assegnati i seggi del Majles rimasti vacanti (le votazioni si sarebbero dovute tenere ad Aprile, ma sono state posticipate a data da destinarsi per l’emergenza Coronavirus). La situazione è davvero delicata: Hassan Rouhani deve gestire l’emergenza sanitaria e la crisi economica lavorando con un’ Assemblea ostile e ritornata fedele all’ayatollah Khamenei e allo status quo teocratico. Nessuna speranza per i giovani iraniani?

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