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Referendum costituzionale in
Russia: verso Putin 2036?

DI ALICE CARNEVALI e CHIARA CISTERNINO

6/04/2020

Dopo l’emergenza coronavirus i cittadini russi saranno chiamati alle urne per esprimere il loro parere sulla riforma costituzionale che darebbe a Putin il diritto di proseguire il mandato fino al 2036. Come funziona l’ordinamento russo? Quali sfide comporta questo referendum?

In Russia, il 2020 si è aperto con un discorso dell’attuale presidente Vladimir Putin, il quale ha annunciato la sua intenzione di indire un referendum costituzionale, programmato inizialmente per il 22 aprile ma data la recente emergenza sanitaria posticipato a data da destinarsi.

Nelle intenzioni di Putin, il referendum aumenterà il potere del Parlamento diminuendo invece i compiti del Capo di Stato, ma la riforma costituzionale gli permetterebbe altri due mandati presidenziali, fino al 2036.
Prima di procedere a un’analisi più dettagliata della riforma costituzionale, analizziamo in breve il sistema politico russo.

Federazione russa: una Repubblica semipresidenziale

In accordo con la Costituzione della Federazione Russa, adottata nel 1993, la forma di governo è semipresidenziale: ciò permette ai cittadini di eleggere sia l’Assemblea Federale (parlamento) sia il Presidente (che a sua volta approva il governo).

Il Presidente è il Capo di Stato e viene eletto a suffragio universale diretto con un sistema a doppio turno. Egli possiede un ruolo di rilevanza centrale: è comandante in capo delle forze armate, designa il primo ministro, può nominare e revocare singoli ministri o addirittura far dimettere l'intero governo. Il mandato presidenziale, originariamente di quattro anni, è stato elevato nel dicembre 2008 a sei anni a decorrere dalla successiva elezione, per non più di due mandati consecutivi.

Per quanto riguardo il legislativo, l’ordinamento russo prevede un parlamento bicamerale chiamato Assemblea Federale, composto da una camera alta conosciuta come Consiglio Federale e una camera bassa nota, cosiddetta Duma di Stato.

La natura semipresidenziale russa prevede che perché una legge entri in vigore, essa deve venire approvata sia dal parlamento sia dal Capo di Stato. Quest’ultimo può sciogliere la Camera bassa in qualsiasi momento, ma d’altra parte il Consiglio della Federazione può mettere in stato d’accusa il Presidente.

Così descritto pare un ordinamento politico solido, ma potrebbe essere modificato radicalmente dalla riforma costituzionale.

Referendum Costituzionale: Putin presidente a vita?

A gennaio 2020, durante l’annuale discorso alla nazione, Vladimir Putin ha annunciato di voler introdurre importanti cambiamenti alla Costituzione, approvabili tramite referendum popolare. Tra questi troviamo l’aumento dei poteri del Parlamento a scapito della figura presidenziale e la creazione di un nuovo organo, il Consiglio di Stato. Nelle intenzioni di Putin, a partire dal 2024 (al termine del suo attuale mandato)  l’apparato legislativo avrà il potere di scegliere il primo ministro e i membri del governo, mentre il Consiglio di Stato sarà introdotto nella Costituzione diventando un organo fondamentale dell’ordinamento russo.Quella che sembrava avere le sembianze di un tentativo di democratizzazione della Federazione Russa si è invece rivelato l’ennesimo gioco di potere del presidente Putin, il quale non è disposto a lasciare la poltrona per favorire l’elezione di un nuovo Capo di Stato. Una poltrona che assomiglia sempre più ad un trono.

All’inizio di marzo, la Duma si è riunita per approvare gli emendamenti alla riforma costituzionale. Durante la seconda lettura, la deputata Valentina Tereshkova ha proposto una modifica radicale: azzerare i mandati del presidente in carica o di un ex presidente per consentirgli di prendere parte a elezioni future. Secondo questa riforma, Putin avrebbe diritto ad essere rieletto per altri due mandati, mantenendo la carica presidenziale fino al 2036. In seguito a questa proposta, lo stesso presidente ha rilasciato un discorso in cui ha affermato la necessità per la Russia di dotarsi di un sistema politico che preveda il cambio regolare del Capo di Stato, ma aggiungendo che il momento propizio non è ancora arrivato, in quanto la situazione attuale richiede una ricerca di stabilità; un discorso convincente per i deputati della Duma, i quali hanno approvato l’emendamento con 382 sì, 44 astenuti e 0 contrari.

Dopo il nulla osta della Corte Costituzionale a metà marzo, l’ultimo scoglio da superare per la riforma è il referendum popolare, posticipato a data da destinarsi causa Coronavirus. A questo proposito, il centro di sondaggi indipendente Levada Center stima che il 69% dei russi è favorevole alla riforma costituzionale, un dato significativo ma in calo rispetto ai consensi che il leader russo vantava negli anni precedenti. In che modo il Cremlino ha riscosso tanto successo? E perché, d’altra parte, questo sembra diminuire?

Vent’anni di Putin e un solo obiettivo: “Make Russia Great Again”

Nel suo ventesimo anno al potere, Vladimir Putin si dimostra determinato a dominare ancora per altri sedici anni la vita politica della Federazione Russa. Da primo ministro nominato nel 1999 da Boris Eltsin, l’entrata nel nuovo millennio gli valse l’elezione a Presidente, una carica che abbandonò nel 2008 divenendo premier di Dmitrij Medvedev fino al 2012, quando ridivenne Capo di Stato. Un ping-pong di alte cariche, una carriera politica caratterizzata da un ampio consenso popolare ed un dissenso fortemente represso, per la realizzazione di uno stato autoritario centralizzato e dominante nell’ambito delle relazioni internazionali.

Insomma, l’ambiziosa strategia di Vladimir Putin sembra voler riscattare quello che lui stesso ha definito “la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo”: la caduta dell’Unione Sovietica. Una visione inguaribilmente nostalgica, ma condivisa dal 66% dei russi che afferma di essere dispiaciuto per il crollo del regime comunista sovietico. Altro elemento fondamentale per comprendere il consenso guadagnato dal Cremlino è il concetto di Slavofilismo, movimento filosofico sorto nel 1830 e caratterizzato dall’idea che la Russia sia il popolo eletto avente come ambizione l’unione di popoli slavi per stabilire un nuovo equilibrio contrapposto ai tentativi di dominazione occidentale. Un paradigma ricorrente nella dialettica di Putin il quale ha consolidato le sue politiche per far fronte ad una duplice minaccia: l’allargamento della NATO verso est e la crescita di dissenso interno.

Proprio in questa prospettiva si inserisce l’annessione della Crimea nel marzo del 2014, un’operazione che mirava a mantenere l’Unione Europea e la NATO distanti dalla regione strategica del Mar Nero considerata ancora oggi come territorio russo, nonostante la sua cessione all’Ucraina nel 1954. Inoltre, l’intervento di Mosca a sostegno del governo di Assad nel conflitto siriano nel 2015 dimostra l’interesse di Putin a ritagliarsi una posizione di rilievo nelle relazioni internazionali, indipendente dalla linea tracciata dalle potenze occidentali. Entrambe le operazioni interventiste hanno aumentato il consenso popolare del presidente Putin, il quale ha raggiunto il picco dell’89% nel 2015.

Eppure, non tutti i russi sono favorevoli alle politiche di Putin. Soprattutto tra le nuove generazioni si avverte la necessità di democratizzazione dell’ordinamento statale ed una maggiore libertà di espressione tanto a livello individuale quanto politico: obiettivi ancora difficile da raggiungere in un Paese in cui le libertà di associazione, informazione ed espressione sono represse da un sistema autoritario estremamente rigido. La riforma della Costituzione prevede infatti numerosi riferimenti alla centralità del popolo russo, ad esempio riaffermando la superiorità della Costituzione russa rispetto al diritto internazionale, difetto che secondo i cittadini macchiava la loro indipendenza rispetto ai tribunali internazionali e agli eterni rivali statunitensi, oltre ad un riferimento alla fede in Dio e alla definizione di matrimonio come “unione di uomo e donna”. Un notevole passo indietro rispetto alle aspettative dei giovani russi.

Ciò nonostante, le elezioni amministrative di settembre 2019 hanno dimostrato la graduale perdita di successo dell’attuale presidente, le cui manovre economiche (riforma delle pensioni, aumento delle tasse e riduzione del potere di acquisito) hanno sollevato preoccupazione tra gli elettori. Ad aumentare l’incertezza del risultato referendario si aggiungono poi coronavirus e guerra del petrolio con l’Opec, due eventi le cui conseguenze potrebbero essere devastanti per le sorti economiche e per il baricentro politico del Paese.

Il referendum costituzionale sarà dunque interpretabile come una pagella all’operato del presidente Putin in questi vent’anni. Capiremo se la politica conservatrice, sovranista ed autoritaria manterrà l’eccellente media degli anni precedenti, oppure se aprirà la strada ad un cambiamento di rotta.

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