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America Latina: epoca di cambiamento o cambiamento d’epoca?

DI COSTANZA PRESTI

30/04/2020

L’America Latina è il nuovo campo di battaglia delle grandi potenze: chi si è fatto portavoce delle rivendicazioni sociopolitiche? I mezzi utilizzati saranno sufficienti per arginare il fenomeno della globalizzazione neoliberale?

Da alcuni anni, numerosi processi sociali e politici hanno contribuito ad una nuova configurazione dell’America Latina: la crisi del consenso neoliberale, la rilegittimazione dei discorsi politici, l’emergenza e il potenziamento di differenti movimenti sociali, l’emergenza dei governi auto-denominatisi “progressisti” e di centrosinistra. Si tratta di alcune delle note distintive di una tappa di transizione che pare contrapporsi a tutte le lotte del precedente periodo, la decade degli anni Novanta, segnata dalla sottomissione al “consenso di Washington”, nel nome di una globalizzazione univoca e irrefrenabile.

Il cambio d’epoca

In linea di principio, il cambio di epoca qui analizzato comprende: l’utilizzo di alcuni termini che sono stati espulsi dal linguaggio politico e dalle accademie, come per esempio “anti-imperialismo”, “decolonizzazione” o “emancipazione”; l’analisi, da un punto di vista differente, della relazione tra modelli accademici e compromesso politico, temi che risultavano definitivamente censurati a favore della del ritorno della figura dell’intellettuale-interprete; infine, le considerazioni relative al cambio d’epoca cui è soggetto il Sudamerica, che fomentano la possibilità di pensare creativamente alle articolazioni tra Stato e società, tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta e partecipativa, tra istituzionale e anti-istituzionale.

Zapatismo: la reazione alle ingiustizie

È importante ricordare che l’apertura del ciclo di lotte contro la globalizzazione neoliberale e asimmetrica non è nata dalla pressione di forze appartenenti alla politica istituzionale, ma dall’irruzione dello “zapatismo”, a Chiapas nel 1994. Lo “zapatismo” è il primo movimento contro la globalizzazione neoliberale che ha influenzato i gruppi e i collettivi alter-globalizzazione che stavano nascendo sia in Europa che negli Stati Uniti.

Dagli inizi degli anni duemila e l’inasprirsi delle proteste causate dalla privatizzazione degli stabilimenti municipali di acqua potabile in Bolivia, la cosiddetta “Guerra del Agua” a Cochabamba , si sviluppa un nuovo flusso di azione collettiva che influirà su tutta l’America Latina. Organizzazioni e movimenti sociali si costituiscono come i grandi protagonisti di questa nuova era che, attraverso lotte e rivendicazioni, ha aperto un’agenda pubblica in cui sono state delineate nuove problematiche: l’indignazione di fronte alla violazione dei diritti più elementari, la questione delle risorse naturali e le rivendicazioni delle autonomie indigene. A questo proposito, nelle ultime decadi, i movimenti sociali in America Latina si sono moltiplicati ed hanno esteso la loro capacità di rappresentanza.

“Movimientos de movimientos”: il potere della coordinazione

Analogamente, è importante sottolineare la configurazione di un nuovo concetto, il “nuevo internacionalismo”: a partire dal 1999, si sono moltiplicati gli spazi di coordinazione sociale con l’obiettivo di potenziare e far convergere diverse lotte contro la globalizzazione neoliberale. Oltre le differenze ideologiche e sociali che caratterizzano questo eterogeneo “movimentos de movimientos”, da Seattle a Genova, da Porto Alegre a Nairobi fino alle giornate mondiali contro la guerra in Iraq, si è formato un dibattito critico – e, in alcuni casi, anti sistemico – riguardo la globalizzazione neoliberale. Ci si è iniziati ad interrogare riguardo le nuove strutture di dominazione sorte dalla trans nazionalizzazione dei capitali, sinonimo di superamento di frontiere politiche, economiche e giuridiche; si rifiuta la crescente mercificazione delle relazioni sociali, prodotto della globalizzazione neoliberale; e ultimo ma non meno importante, si punta alla rivalorizzazione e alla difesa dei diritti culturali e territoriali.

America Latina, campo di battaglia di altre potenze

Come dimostra la crisi venezuelana, il Sud America è di nuovo terreno di gioco di potenze straniere. Il Subcontinente ha un ruolo secondario nelle vicende di Caracas, contano invece Stati Uniti, Cina e Russia con la sua proxy Cuba.

Benché sotto la presidenza Obama gli scambi con il Subcontinente si fossero sviluppati di circa il 50% dal 2008 al 2015, nell’ultimo decennio gli Usa, pur registrando un surplus commerciale, hanno perso terreno a vantaggio della Cina. Il Dragone è divenuto il principale mercato d’esportazione per Paesi come il Brasile e le banche di Stato cinesi si sono insediate in Argentina.

La Russia, in una sorta di revival degli anni Sessanta, ha intensificato anche i suoi rapporti diplomatici, di sicurezza ed economici con Cuba. Mosca ha iniziato a spedire petrolio a L’Avana e si è impegnata a investire 2 miliardi di dollari nel sistema ferroviario dell’isola. Le aperture di Putin mirano chiaramente a tenere Cuba nell’orbita di Mosca, e ciò proprio quando gli Usa hanno ripreso le politiche della guerra fredda nei confronti dell’isola.

L’America latina è tornata, dunque, a essere un terreno di gioco dell’attuale confronto fra potenze. L’incombente bipolarismo Usa-Cina, rafforzato da una Russia battitore libero, lontano dal modello di divisione del mondo in blocchi su base ideologica che caratterizzò la guerra fredda, ma si profila più come un’aspra contesa di mercati e di risorse con alleanze di scopo.

Libero commercio e resistenza popolare

I nuovi spazi di coordinazione sono stati indeboliti particolarmente a causa dell’evoluzione di accordi sulla liberalizzazione commerciale e, in particolar modo, come conseguenza all’iniziativa nordamericana di sottomettere i paesi della regione sotto quella che è stata definite “Área de Libre Comercio de las Américas” (ALCA). Più recentemente, le resistenze locali e regionali contro la IIRSA (Inciativa para la Integraciòn de la Infraestructura Regional Suramericana), contrarie all’utilizzo del modello estrattivo esportatore, hanno condotto alla formazione di spazi di coordinazione a livello regionale, finalizzati alla difesa della terra e del territorio, dove si rivendica lo sfruttamento delle proprie terre.

Con continuità rispetto al momento anteriore, ma in uno scenario politico differente rispetto agli anni Novanta, nell’attualità assistiamo a una seconda fase, caratterizzata dalla generalizzazione del modello “extractivo-esportador”, basato sull’estrazione di risorse naturali non rinnovabili e sull’espansione degli “agro-negocios”, transazioni necessarie al fine di aumentare il livello di consumo sostenibile. In altri termini, questa fase esprime una richiesta sempre maggiore da parte dei paesi sviluppati nei confronti dei paesi dipendenti, nell’espansione delle frontiere nei territori considerati in precedenza come “improduttivi”: la frontiera agricola, petrolifera, mineraria, energetica, forestale.

In sintesi, lontano da una prospettiva puramente lineare, questo cambio di epoca segna il deterioramento della precedente coppia globalizzazione-neoliberalismo affermatasi negli anni Novanta, collocando i paesi latinoamericani in uno spazio geopolitico variabile in cui si strutturano diverse tendenze. Da un lato, quelle che mostrano una rottura con il modello inclusivo degli anni Novanta; dall’altro lato, quelle che enfatizzano il tentativo di ricostruzione di una governabilità neoliberale attraverso la continuità di schemi che possano disciplinare efficacemente le sfere economica, sociale e politica.

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