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La Costituzione paritaria cilena: l’incontro tra lotta sociale e femminista

DI LETIZIA GRAZIANI

06/12/2020

L’“Accordo per la pace e la nuova Costituzione”, proposto e approvato dal Parlamento cileno sull’onda delle proteste che nell’autunno del 2019 hanno scosso il Paese, getta ora i primi semi di libertà. Come stabilito, lo scorso 25 ottobre i cileni sono stati chiamati ai seggi per esprimersi in merito alla stesura di una nuova Costituzione e alla composizione dell’eventuale organo preposto a redigerla. Si è trattato del primo referendum nazionale dal 1989, quindi del primo dalla caduta della dittatura pinochetiana.

L’“Accordo per la pace e la nuova Costituzione”,  proposto e approvato dal Parlamento cileno  sull’onda delle proteste  che nell’autunno del 2019 hanno scosso il Paese, getta ora i primi semi  di  libertà. Come stabilito, lo scorso 25 ottobre i cileni sono stati  chiamati ai seggi per esprimersi in  merito alla stesura di una nuova  Costituzione e alla composizione dell’eventuale organo preposto a   redimerla. Si è trattato del primo referendum nazionale dal 1989,  quindi del primo dalla caduta della  dittatura pinochetiana.

Con un tasso di partecipazione anomalo del 51%, di  gran lunga superiore rispetto agli standard cileni, lo schieramento  della popolazione è stato netto: il 78% dei votanti ha optato per l’Apruebo (“Approvo”).  Anche per il secondo quesito si è constatata la stessa tendenza: il 79%  dei votanti ha  stabilito che sarà la “Convenzione Costituente”, i cui  155 membri saranno eletti alle amministrative  dell'11 aprile 2021, a  redimere la nuova Carta. L’alternativa, che prevedeva una “Convenzione  mista”, formata per metà dagli attuali parlamentari e per metà da  cittadini eletti direttamente, è risultata  impopolare. I costituenti  avranno nove mesi di tempo per scrivere la nuova Carta, prorogabili una   sola volta per tre mesi, dopo di che il Presidente sarà obbligato a  convocare un referendum  confermativo. La cesura sarà dunque radicale;  sintomo, questo, della volontà cilena di fare tabula  rasa con il passato.

Un’eredità quasi diretta

L’attuale Costituzione entrò in vigore durante la dittatura militare di Augusto Pinochet.  Giunto al  potere con il golpe del 1973, i suoi 17 anni di governo  furono costellati da crimini, quali omicidi e  torture, che mai  trovarono giustizia. Tristemente celebre è il caso dei “desaparecidos”,  oppositori  politici che vennero sequestrati dai regimi militari,  torturati, mutilati, uccisi e infine gettati nel nulla.  Inoltre, in  nome delle rigide politiche liberiste di quegli anni, vennero fatti dei  tagli consistenti alla  spesa pubblica, per cui le sacche più deboli  della popolazione vennero private di ogni forma di  assistenzialismo e  costrette alla povertà. I finanziamenti militari, al contrario,  aumentarono,  alimentando quel sistema tossico di repressione politica  che nel portare avanti i propri scopi si  avvaleva delle forze  dell’ordine.

La Costituzione venne dunque concepita in un clima del  tutto differente da quello attuale, che vede  in quella cilena una  delle democrazie più solide dell’America Latina. Nonostante le modifiche   costituzionali che dal 1980 ad oggi ne hanno espunto gli elementi più  fortemente anti-democratici,  sono molti i tratti che ne ricordano  l’origine.

Un esempio è dato dalla “legge anti-terrorismo”,  voluta da Pinochet per combattere la resistenza  al suo regime. Nel  caso in cui il reato contestato abbia l’aggravante del terrorismo,  prevede il  raddoppiamento delle pene previste, consente la carcerazione  preventiva e rende insindacabile  l’operato della polizia. Non sono  mancati casi emblematici legati alla sua applicazione. Il presidente   Piñera l’ha utilizzata nei confronti della comunità indigena dei Mapuche:  le loro proteste, volte a  salvaguardare il luogo in cui abitano dagli  appetiti delle multinazionali, sono state bollate come  terroristiche.  Camillo Catrillanca, contadino mapuche, è stato ucciso a colpi di arma  da fuoco dai  Carabineros cileni (le forze di polizia), i quali, sulla  base di testimonianze in seguito sentenziate  come false, hanno tentato  di giustificare la propria azione sulla base della presunta e preventiva   apertura del fuoco da parte di Catrillanca.

La democraticità di tale procedura è stata messa in  dubbio anche dall’ONU che, nelle vesti del Comitato contro la tortura,  ha chiesto al Cile di smettere di applicare tale legge nei confronti dei

Mapuche. Santiago è stata invitata a "rivedere e  modificare la sua legislazione" e a specificare la  definizione e la  classificazione dei reati di terrorismo, la cui ampiezza e vaghezza  rendono la legge - e quindi la sua applicazione - controversa.

Non a caso, quella dei Mapuche è una delle minoranze  che ha avanzato maggiori richieste in termini  di riconoscimento  all’interno della nuova Costituzione. Come loro, sono tanti i gruppi  sociali che  sperano di avere maggiore credito: prime fra tutte, le  donne.

La prima costituzione paritaria al mondo

Mentre rimane dubbia l’effettiva partecipazione delle  comunità indigene al processo costituente,  quella delle donne può dirsi  già una vittoria. Un traguardo straordinario non solo per il contesto   sudamericano, ma per il mondo intero. Quella cilena sarà infatti la  prima costituzione paritaria del  mondo, ovvero la prima costituzione  che vedrà un numero eguale di “madri” e “padri”  costituenti.

Su proposta di una commissione parlamentare mista,  infatti, lo scorso marzo è stata approvata da  Camera e Senato una  riforma costituzionale che stabilisce l’eguale partecipazione di donne e  uomini  al processo costituente. Tale traguardo è auspicabilmente  l’inizio di un processo che porterà al sostanziale - e non solo formale -  riconoscimento delle donne nella società cilena, impregnata di forti  tratti patriarcali. Significativo in questo senso è il sondaggio  promosso da Doxa in collaborazione  con WIN (network internazionale di  società di ricerca indipendenti) circa la parità di genere, le  molestie  sessuali e le violenze (fisiche e psicologiche) nel mondo. Quanto  emerge è che il Cile, con  una percentuale del 15%, è tra i Paesi in cui  si rilevano i livelli più bassi di parità dei sessi.

Il movimento femminista cileno

Constatata tale disparità, non c’è dunque da stupirsi  dell’attivismo politico delle donne del Paese. La  peculiarità  dell’ambiente cileno, però, è che qui lotta femminista e lotta sociale  si sono spesso - se  non sempre - intrecciate, specialmente durante il  passato regime dittatoriale. In un paese in cui il  divario salariale di genere è  del 27% (Global Gender Gap Report 2019), qualsiasi ingiustizia  sociale  viene statisticamente vissuta dalle donne in modo peggiore che dagli  uomini. Proprio perché  sono la categoria che più avrebbe da perdere o  da guadagnare, a seconda dei punti di vista, le  femministe hanno  scandito, con le loro manifestazioni, la democratizzazione del Paese.

Durante la dittatura, le donne, riunitesi nel movimento “Mujeres por la democracia”,  si sono  schierate accanto a coloro che, in silenzio e sfidando gli  idranti della polizia, si sono battuti per il  ritorno della democrazia.  Solo a partire dal 1989, con il rovesciamento di Pinochet e l’elezione   democratica di Patricio Aylwin Azócar, la lotta si è spostata su temi  più “specifici”. La logica è stata  quella della gradualità: alla base  di ciò vi era forse la consapevolezza di stare chiedendo ben più di  una  semplice riforma costituzionale, ovvero un radicale cambiamento di  mentalità.

In un Paese in cui l’aborto terapeutico  in caso di stupro, rischio di morte della madre e d’impossibilità di  sopravvivenza del feto è stato introdotto solo nel 2017 e in cui solo  l’8% di tutti i  casi di stupro denunciati viene condannato - come registrato dalla Red Chilena contra la Violencia  hacia las Mujeres -  è logico che la lotta si sia spostata intorno al tema della violenza  sessuale. A  partire dal 2015, con la nascita in Argentina della  campagna “Ni una menos” (“Non una di meno”),  le femministe  cilene hanno continuato a riunirsi e a protestare contro quella che  viene etichettata  come “cultura della violenza”. Nella  primavera del 2018, in seguito a varie denunce di molestie  sessuali in  prestigiose università del Paese, il movimento ha affiancato la  popolazione studentesca  nell’occupazione delle università: ciò che  chiedevano era un cambiamento del sistema educativo in  nome  dell’inclusione e delle pari opportunità.

Dalle piazze alle Camere

Le proteste sono continuate in un’escalation di  potenza che ha raggiunto il picco simbolicamente il  25 Novembre 2019,  in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Con  il Cile  già sull’orlo di una crisi sociale a causa delle proteste  contro il caro-vita, il movimento è sceso in  piazza per portare avanti  la sua battaglia trasversale. Quel giorno, una schiera di donne si è  riunita  per denunciare la sua condizione di fronte alla Corte suprema  di Santiago. “Un violador en tu  camino”, il testo nato dal  collettivo femminista Las Tesis, farà da sfondo a tutta la protesta e  dalle  strade del Cile diventerà virale, trasformandosi in un vero e  proprio inno globale.

Nel solito gioco di  intrecci tra lotta sociale e femminista, la voce dei cileni ha  finalmente trovato  ascolto: l’”Accordo sulla pace” accoglie le istanze  rivoluzionarie del popolo, concedendo a questo la  possibilità di un  nuovo e simbolico inizio, ma la vera “vittoria” potrà dirsi raggiunta  solo alla  conclusione del processo costituente. Nel frattempo, però, su  spinta del collettivo Las Tesis, una  parte del movimento si è data una  struttura più solida, trasformandosi nel primo partito femminista   della storia moderna cilena, il Paf (Partido Alternativa Feminista). La sua istituzionalizzazione è la  riprova che qualcosa nella società sta cambiando.

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