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Il “sesso debole”: una lotta non ancora vinta

DI EMMA FELISATTI

20/11/2020

“(…) per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, (…): in piedi, signori, davanti ad una donna!" - W. Shakespeare.

Ironia della sorte, la parola donna sboccia dal latino: domina, cioè signora. In realtà, nella storia è stata piuttosto una serva, piegata al volere e alle voglie del vero dominus, il maschio. Certo, ora la sensibilità è mutata, ma l'incessante lista dei femminicidi rivela che quel filo nero di sfruttamenti, umiliazioni, prevaricazioni è tutt'altro che mozzato. “Comportati da signorina”, “non fare la femminuccia”: sono solo due dei modi di dire detti e ridetti con leggerezza, senza soffermarsi sul significato intrinseco che essi racchiudono. Come si deve comportare una signorina? E che comportamenti sono quelli di una “femminuccia”? Immagino che, non solo a me purtroppo, venga in mente l’essere sensibile, a volte risultare debole, essere educata, non dire parolacce, sedersi composta, preferibilmente con le gambe incrociate: perché è così che si siede una “signorina”.


Facciamo però un passo indietro. Da dove deriva questo immaginario collettivo?

Guardando alla storia da sempre studiata sui libri e ai fatti concreti dei quali sempre abbiamo sentito parlare, sembra che non ci siano dubbi sulla provenienza dello stereotipo odierno della donna. Pare, però, che in un periodo di circa 2000 anni avanti cristo, esistesse un popolo dove la società era ribaltata. I pochi documenti ritrovati ed esaminati raffigurano una scala sociale con le donne al vertice. Non si sa bene però se sia un racconto di fantasia o se questo tipo di società sia realmente esistita. Il buon senso ci porta a pensare che difficilmente possa raffigurare la realtà. Sono certamente esistiti popoli che veneravano la donna. I Maya, per esempio. Certo però, l’unico motivo per cui non veniva denigrata come in tutte le altre culture, era perché era vista come simbolo di prosperità, abbondanza, che tradotto in termini più moderni: serviva a fare figli. Ma la storia di come le donne stiano riuscendo a farsi spazio ai vertici della scala sociale odierna è molto lunga e forse partire a raccontarla dalla cultura Maya non è il massimo.


Un aspetto fondamentale che ha caratterizzato l’ascesa delle donne nella società si ha dai primi anni del secolo scorso. È interessante analizzare come fin dall’inizio siano presenti disparità da paese a paese, che purtroppo ancora esistono. Sto ovviamente parlando del diritto di voto, una delle conquiste più importanti e significative nella storia del femminismo. Il primissimo episodio di rivolte delle suffragette avviene negli Stati Uniti e nel Regno Unito: tra il 1919 e il 1920 le donne statunitensi ed inglesi ottengono il diritto di voto. I movimenti si estendono in altri paesi pochi anni più tardi: nell’anno 1921 sono le donne tedesche a votare per la prima volta. Ed ecco la prima differenza che possiamo analizzare: in Italia infatti, sarà solo nel 1946 che le donne riusciranno a votare. Ma non è sempre stato necessario lottare per vedersi riconosciuto uno trai più importanti diritti fondamentali e l’esempio principale ci viene regalato dai Paesi Scandinavi. Nel 1913, in Norvegia, il voto viene esteso alle donne con una semplice proposta da parte del Parlamento. Ancor prima, nel 1906, è il Parlamento Finlandese a riconoscere il suffragio universale e la possibilità di candidatura al “sesso debole”, rendendo le donne finlandesi le prime in tutto il mondo a potersi giovare di questa preziosa libertà.


Da qui in poi non si può di certo dire che sia stato tutto in discesa

Nonostante le continue rivolte femministe nella storia, dal diritto all’aborto con la legge 194 all’accesso per le donne nell’esercito, oggigiorno la parità dei sessi non è ancora stata raggiunta. In Italia, una donna, a parità di lavoro di un collega uomo, riceve come compenso il 43,7% in meno. A livello europeo, il divario di retribuzione è in media del 39%. Il principale motivo sta nel pregiudizio che una donna, prima o poi, vorrà avere dei figli e di conseguenza trascurerà il lavoro e la carriera. Il fatto che sia ancora nell’immaginario comune che debba essere la donna colei che si prende cura della casa, bada ai figli e alla cucina, è la prova schiacciante che ancora siamo molto lontani da una completa parità.

Qualcos'altro accade (solo) nel 2013, quando viene promulgata la legge sul femminicidio, come aggravante dell'omicidio. È importante capire che con il termine “violenza” non si intende solo quella fisica, ma anche quella verbale.

Ad oggi, solo in Italia, sono tra 100 e 150 le donne ogni anno uccise dal fidanzato, dal marito, o da un conoscente stretto. A queste si sommano tutte quelle stuprate da sconosciuti che si divertono a praticare violenza solo per il piacere di farlo, giustificandosi, poi, dicendo che le vittime stavano indossando minigonne, vestiti scollati, stretti e provocanti. E il fatto più agghiacciante, è che molti di questi mostri vengono assolti, o gli viene scontata la pena, proprio per questo motivo. Nel 2016, un uomo che ha violentato una minorenne in un club in Irlanda non è stato mandato in prigione per via del tanga che la ragazza indossava. Oltre al male fisico, è l’umiliazione e la paura che accompagnerà queste donne per tutta la loro vita, spesso e volentieri incapaci di farsi aiutare o di parlarne con qualcuno.


La violenza verbale potrebbe sembrare un fenomeno più leggero e insignificante, cosa che però non è. Sto parlando, ad esempio, del cosiddetto “cat-calling”, fischi, bacetti, piccoli apprezzamenti: è una delle più diffuse molestie sessuali che una donna è costretta a ricevere ogni giorno, per la sua unica colpa di passeggiare da sola per strada. Recentemente è stata creata e messa online un’applicazione indirizzata alle donne che devono percorrere un tratto di strada a piedi, da sole, in una città da loro poco conosciuta. La sua funzione è quella di calcolare il percorso più sicuro per loro, prevenendo eventuali incontri spiacevoli e pericolosi. A primo impatto sembra un’idea geniale, utile e solidale verso il mondo femminile, ma in realtà è proprio tutto il contrario.


Per quale motivo sono le donne a dover avere paura e dover evitare certe situazioni e non gli uomini ad essere educati diversamente?

Fin da bambini, ci hanno abituati all’eroe, al principe forte e coraggioso il cui unico scopo era quello di trovare, salvare la principessa per poterla sposare. Ed è così che la donna è sempre stata raffigurata, come un premio da vincere, incapace di pensare ed agire: il suo compito era uno, quello di essere bella e trovare il principe azzurro. Siamo sempre stati abituati all’idea di Superman, era ora di far entrare in gioco Wonderwoman. Per fortuna, negli ultimi anni, lo schema del classico libro per bambini è mutato, così come quello dei giocattoli e dei film. Non esiste più che il ferro da stiro giocattolo o la cucina di plastica siano solo rosa e che nelle pubblicità siano solo le bambine a giocarci. Stessa cosa vale per le armi giocattolo o per le macchinine: non ci devono più essere “cose da femmina” e “cose da maschio”. Esattamente come negli ultimi film di supereroi: le donne, le supereroine, combattono al fianco degli uomini.


È questo il mondo verso il quale dobbiamo evolverci, la direzione giusta in cui andare. Nessuna discriminazione, niente più distinzioni di genere. Stesse opportunità e responsabilità. Una realtà ideale, dalla quale però siamo ancora molto distanti.

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