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A che punto siamo con le democrazie illiberali

DI JASMINE GHEORGHE

9/03/2023

Il tema delle democrazie illiberali non è nuovo, anzi, possiamo affermare con fermezza che nel 2021 è stato un vero e proprio hot topic per l’Unione Europea. Protagoniste di quell’anno, in piena pandemia, furono l’Ungheria e la Polonia, i cui provvedimenti istituzionali (e illiberali) non furono graditi dalla Corte Europea di Giustizia, né tantomeno dalla Commissione. La risposta di Bruxelles fu gelida: in applicazione del meccanismo di condizionalità, venne congelato il PNRR per entrambi i paesi, con l’accusa di violazione dei principi dello stato di diritto, ai sensi dell’art. 7 par. 2 del Trattato sull’Unione Europea.
A due anni dalla decisione, vediamo di comprendere l’evoluzione della vicenda.

Una rispolverata alle parole

Nel 1997, il politologo statunitense Fareed Zakaria, nell’affermare che le democrazie illiberali sarebbero diventate uno spreading virus, ovvero qualcosa che si sarebbe diffuso e consolidato, ci aveva visto lungo. Questo perché oggi il liberalismo non è assolutamente scontato e l’UE lo sa bene. Non ha più neanche lo stesso significato che aveva decenni fa: in esso non rientrano più solamente il rispetto del rule of law (la supremazia della legge) e la tutela delle libertà personali “tradizionali” (tra cui la libertà di stampa, di religione, di riunione ecc.), perché il bagaglio sociale si è espanso.

Vi sono nuove libertà da difendere, ad esempio quella di espressione del proprio orientamento sessuale, oppure tutte quelle relative alla nuova coscienza di genere. Di conseguenza, essendosi allungato l’elenco dei diritti sociali, il termine “democrazia illiberale” stesso appare evoluto, per non dire aggravato.


Ungheria e Polonia oggi

Stando a quanto riporta la classifica sullo stato di diritto stilata da Liberties, Ungheria e Polonia occupano ancora gli ultimi posti. Secondo l’ultimo report, i governi delle due cugine illiberali continuano ad ostacolare il lavoro dei giornalisti, ad esempio attraverso attacchi fisici e verbali, oppure utilizzando i media con fini propagandistici. A livello istituzionale invece, è come se non si fossero ancora superati i postumi della pandemia: i governi non danno spazio alla consultazione pubblica, vengono predilette procedure “fast-track” e, in linea di massima, la voce dei cittadini viene ignorata. Se aggiungiamo a tutto ciò la controversa posizione ungherese circa il conflitto in Ucraina, la situazione si complica ulteriormente: contro la guerra, ma anche contro le sanzioni a Mosca.

L’UE chiaramente non è rimasta con le mani in mano, congelando, lo scorso mese, quasi un miliardo di euro di fondi per gli Affari Interni dei due paesi. Le motivazioni sono le medesime: il non rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani.


Tollerare l’intollerante

C’è chi ha definito l’Ungheria il tallone d’Achille dell’UE. Ad oggi tuttavia è difficile far rientrare in questa espressione anche la Polonia, in quanto, dallo scoppio del conflitto al confine, Varsavia è stata costretta ad aprirsi di più e mettersi in prima linea, per accogliere gran parte dei milioni di migranti ucraini. Da qui non può che sorgere un interrogativo: in seguito all’emergenza umanitaria provocata dal conflitto, non si potrebbe assistere ad una minima, umana apertura liberale della Polonia e/o dell’Ungheria? Tale apertura sarebbe certamente sperata e aiuterebbe l’UE a raggiungere una struttura più coesa, chiudendo il cerchio. Ma sarebbe anche dovuta?

Per i più tradizionalisti, già a proprio agio con lo status quo, la risposta a quest’ultimo quesito è no, al momento si dovrebbe semplicemente “tollerare l’intollerante”, per non forzare una conversione liberale che per i due paesi sarebbe prematura.


UE, tutto bene?

Il motto dell’UE è unity in diversity, che rappresenta la ricerca dell'unità nella diversità, valorizzando tutte le sfumature presenti nei 27 Stati membri. Si potrebbe affermare che Ungheria e Polonia stiano subendo un trattamento particolaristico e intollerante da parte delle istituzioni europee. A tal proposito, sarebbe opportuno aprire un ulteriore dibattito, circa la “sufficienza” delle misure in corso. Un’operazione come il taglio dei fondi è un messaggio più che chiaro, ma è abbastanza per motivare gli stati a costruire qualcosa che ancora non c’è? E soprattutto, “tollerare l’intollerante” sarà sempre un ragionamento sano e coerente per l’UE? In questo frangente, più che in qualsiasi altro, è cruciale riflettere su quanto c’è alla base dell’Unione Europea, su quali siano stati fin dalla sua nascita i capisaldi. Un’Unione nata dalle ceneri di un conflitto contro esseri umani non può mai smettere di operare per gli esseri umani. Ecco perché è necessario un continuo controllo su chi fa parte dell’UE e allo stesso tempo ne nega i principi fondamentali.

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