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Esseri umani, armi ibride e muri

DI ANDREA CRECCHI

09/02/2022

Il 22 novembre 2021 L’agenzia Europea Frontex ha riferito di 8000 attraversamenti illegali del confine tra Bielorussia e Polonia da gennaio a novembre da parte di migranti provenienti prevalentemente da Afghanistan, Iraq e Siria, un aumento del 1444% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La crisi è particolarmente complessa perché racchiude in sé tre questioni che hanno condizionato la politica interna ed esterna dell’Unione e dei suoi membri negli ultimi anni: le migrazioni, la lenta deriva autoritaria di Polonia e Ungheria e lo scontro tra UE e Bielorussia sulla legittimità del suo governo. Iniziamo l’analisi dall’ultima delle tre, causa primaria del problema.

Il 22 novembre 2021 L’agenzia Europea Frontex ha riferito di 8000 attraversamenti illegali del confine tra Bielorussia e Polonia da gennaio a novembre da parte di migranti provenienti prevalentemente da Afghanistan, Iraq e Siria, un aumento del 1444% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

A novembre, di fronte a 3000-4000 migranti tra le due nazioni, la Polonia ha blindato il confine con la Bielorussia, aumentando a 15000 gli effettivi militari al confine e dichiarando lo stato di emergenza, creando una zona rossa vicino al confine alla quale è stato vietato l’ingresso ai giornalisti e persino alle organizzazioni di aiuti umanitari.

Il blocco al confine ha causato un braccio di ferro tra le autorità polacche, che respingono i tentativi di attraversamento e quelle bielorusse che spingono i migranti verso il confine. per un mese diverse migliaia di migranti sono rimasti bloccati senza cibo, acqua, o un riparo adeguato dal rigido clima dell’Europa dell’est.

Visto l’ennesimo utilizzo da parte della Russia delle forniture di gas come arma per fare pressione sui paesi europei diventa importante analizzare altri strumenti di pressione sull’Unione a disposizione dei paesi confinanti. La trasformazione di esseri umani in strumenti di ricatto fa parte di questa categoria, e in particolare il recente caso della Bielorussia.

La crisi è particolarmente complessa perché racchiude in sé tre questioni che hanno condizionato la politica interna ed esterna dell’Unione e dei suoi membri negli ultimi anni: le migrazioni, la lenta deriva autoritaria di Polonia e Ungheria e lo scontro tra UE e Bielorussia sulla legittimità del suo governo. Iniziamo l’analisi dall’ultima delle tre, causa primaria del problema.


L’ultimo dittatore

Formalmente una repubblica presidenziale fin dall’indipendenza dall’URSS ottenuta nel 1991, la Bielorussia è in realtà un regime autocratico con il potere concentrato nelle mani del presidente, Alexander Lukashenko. In carica dalle prime elezioni nel paese, svoltesi nel 1994, Lukashenko è risultato vincitore delle successive cinque elezioni, considerate da ogni osservatore internazionale come né libere né giuste. L’ultima di queste si è svolta nell’agosto dell’anno scorso, dove i dati ufficiali parlano di una vittoria di Lukashenko con l’80% dei voti, un dato troppo lontano dalle percentuali calcolate da osservatori indipendenti (dall’8% al 21%), ma che ha ricevuto inizialmente soltanto condanne verbali. Mentre nel Paese scoppiava una protesta di massa duramente repressa dal regime, i paesi dell'Unione europea si sono rifiutati di riconoscere il risultato. L’Unione ha annunciato sanzioni nei confronti dell’establishment del paese, tra cui lo stesso Lukashenko, una misura drastica che solitamente viene evitata per permettere la continuazione di un dialogo diplomatico e che in questo caso mostra la volontà dell’Unione Europea di non scendere a compromessi con il governo dello stato vicino.

Le tensioni sono aumentate dopo il dirottamento il 23 maggio 2021 a Minsk di un volo Ryanair diretto a Vilnius, in Lituania, formalmente per un allarme bomba e in realtà per arrestare uno degli organizzatori delle proteste del 2020. Dopo la condanna dei governi di Polonia e Lituania sono arrivate nuove sanzioni, tra cui il divieto di volare nello spazio aereo bielorusso.

A luglio si è registrato un aumento dei tentativi di passaggio da parte di migranti al confine con la Lituania, un numero che ha continuato ad aumentare e a interessare anche la vicina Polonia fino ad arrivare agli eventi di novembre.


Due Polonie

Per comprendere appieno la crisi tra Bielorussia e Polonia è necessario conoscere gli avvenimenti recenti che hanno interessato quest’ultimo paese, e di come questi hanno modellato la doppia identità del paese, europeista ed euroscettica.

Nonostante la stragrande maggioranza della popolazione della Polonia sia a favore dell’Unione Europea, i cui fondi hanno accelerato la crescita dell’economia polacca e la modernizzazione delle infrastrutture e dell’apparato educativo del paese, il paese è governato dal 2015 dal partito di Legge e Giustizia (PiS) un partito euroscettico dichiaratamente ostile alla democrazia liberale che nelle elezioni del 2019 ha ottenuto il 44% dei voti, la percentuale più alta ottenuta da un partito polacco dalle prime elezioni democratiche nel 1989. Come si spiega il successo di un partito contrario ai valori di un’unione alla quale danno fiducia più del 90% dei cittadini?

Da un lato la retorica populista di difesa dei valori polacchi contro le élite tedesche ed europee ha fatto presa sull’elettorato delle province dell’est, fortemente tradizionale e cattolico, disilluso dai tradizionali partiti liberali di destra come di sinistra.  Dall’altro dopo la vittoria nel 2015 il partito ha profondamente modificato gli assetti di potere del paese attraverso una controversa riforma della giustizia che ha reso la Corte costituzionale polacca un organo di fatto controllato dal partito. Questa sovversione dell’equilibrio tra i poteri ha permesso al PiS di prendere il controllo dell’amministrazione pubblica e dei canali di informazione statale.

L’ultimo atto della deriva della Polonia verso una “democrazia illiberale” sul modello dell’Ungheria di Viktor Orban è una sentenza della Corte costituzionale polacca che decreta la superiorità della legge polacca su quella europea. Questo ha causato una crisi con l’Unione Europea e con la fazione liberale della popolazione polacca, già esasperata da una legge sull’ aborto tra le più restrittive in Europa. La reazione dello stato polacco ai migranti che approdano ai suoi confini è fortemente condizionata da questa duplice crisi e dalla retorica del governo in carica.


Migrazioni e politica

tra il 2010 e il 2011 in gran parte del mondo arabo si è verificata una serie di proteste indirizzate contro i governi autoritari, la corruzione e la crisi economica presenti in molti dei paesi interessati. Le conseguenze di queste proteste, ribattezzate dai giornali occidentali “primavera araba” sono state in larga misura negative per chi vedeva nelle proteste l’arrivo della democrazia nei paesi arabi.

Alcuni regimi sono rimasti in piedi (le monarchie del Marocco e del Golfo Persico), altri sono stati sostituiti da nuovi governi autoritari e militari (Egitto). Un solo paese è riuscito a costruire una democrazia, per quanto fragile e costantemente minacciata, la Tunisia, da cui le proteste erano partite nel 2010. Nei peggiori dei casi le proteste hanno assunto la forma di guerre civili che hanno completamente distrutto il tessuto sociale ed economico dei paesi; è il caso di Libia e Siria, divenuti il terreno di scontro tra fazioni interne, costruite su linee etniche, religiose e politiche, e potenze straniere, ognuna con i propri interessi geopolitici ed economici.  La situazione interna dei due paesi è una delle cause del forte incremento degli arrivi di migranti in Europa. La Siria come paese di emigrazione e la Libia come paese di transito.

Dal 2015 all’arrivo del Covid-19 in Europa, la questione migratoria ha monopolizzato il dibattito politico di molti degli stati europei e ha fatto la fortuna dei partiti che l’hanno resa il proprio cavallo di battaglia, tra cui il PiS, in prima linea nell’ostacolare gli accordi di redistribuzione dei migranti (benché la Polonia non fosse un paese di transito o di arrivo).

La risposta elaborata dall’Unione al fenomeno è tesa al contenimento del fenomeno nei paesi di transito, in particolare Libia e Tunisia per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo centrale e la Turchia per quanto riguarda la rotta balcanica, riducendo considerevolmente gli arrivi irregolari. I 3,5 milioni di rifugiati siriani in Turchia sono diventati però una potente arma nelle mani di Erdogan per ricattare con successo l’Unione Europea. Una situazione analoga esiste al confine tra il Marocco e le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla.


I nuovi muri

Vista la debolezza della comunità europea di fronte al ricatto turco, Lukashenko ha costruito artificialmente una crisi migratoria ai suoi confini come risposta alle sanzioni europee. Tramite agenzie di viaggio controllate dalla compagnia aerea statale bielorussa, Belavia, a diverse migliaia di Iracheni e Siriani venne proposto un passaggio sicuro verso l’Europa occidentale attraverso la Bielorussia a prezzi che andavano dai 2000 ai 10000 euro. Durante l’estate del 2021 il fenomeno ha interessato prevalentemente la Lituania e solo successivamente la Polonia. I migranti al confine hanno raccontato del loro trattamento da parte delle guardie di confine bielorusse, che li hanno portati nelle foreste al confine e lasciati lì. Ci sono resoconti di violenze fisiche, colpi sparati in aria e tentativi di drogare le persone con pastiglie contenenti metadone.

Nel novembre 2021, il punto più alto della crisi, le autorità polacche stimavano 3000-4000 persone al confine. La Polonia ha reagito alla crisi con l’aumento del personale di confine a 15000 uomini, l’annuncio della costruzione di un muro al confine, ha invocato una risposta europea e allo stesso tempo in alcuni periodi temporali ha vietato l’accesso al confine a Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, infine ha autorizzato i respingimenti oltre il confine, illegali secondo il diritto europeo e internazionale, e ha vietato l’accesso anche a organizzazioni umanitarie e giornalisti. Ha persino annunciato l’intenzione di coniare monete commemorative della “difesa dei confini”.

La reazione sproporzionata della Polonia di fronte ad un numero di persone tre volte minore del numero di soldati al confine potrebbe nascondere la volontà di sviare l’attenzione dell’Europa e dei cittadini polacchi dalle azioni più recenti del partito al governo. L’opinione pubblica si è compattata di fronte a una minaccia al confine, anche tramite l’utilizzo dei canali televisivi statali, che hanno bollato l’opposizione liberale come “amica dei migranti e di Lukashenko”. L’Unione ha appoggiato la Polonia, elaborando una risposta ben più efficace di quella polacca per ridurre il volume della crisi. Le sanzioni economiche, lo strumento di pressione più efficace dell’Ue, hanno colpito il punto debole della strategia di Lukashenko, Belavia. A fine novembre la crisi è rientrata e il dittatore bielorusso ha comunicato l’inizio di voli per riportare i migranti in patria. Rimane però in vigore lo stato di emergenza ed è vietato il libero accesso al confine. Continua anche la costruzione del muro nonostante il numero esiguo di migranti, che continuano a morire di stenti nel freddo inverno polacco.

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