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The Myanmar Saga: Game of Accuses

DI MICHELE DANESI

18/02/2022

È da poco trascorso un anno dal colpo di stato con cui l’esercito del Myanmar ha destituito la leader democratica Aung San Suu Kyi. All’iniziale accusa di brogli elettorali a suo carico sono stati aggiunti diversi capi d’imputazione, i quali la confineranno lontana dalla politica ancora per diverso tempo. Intanto, diventa sempre più difficile fermare le sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dall’esercito.

Quando la saga si fa lunga le trame di solito perdono sostanza, come se gli autori concentrassero il massimo della creatività sul primo episodio per poi perdere la fantasia man mano che devono trovare nuove avventure per i loro protagonisti. Le molteplici (grazie al cielo) eccezioni sono, a mio avviso, di due categorie: i serial che partono forte e rimangono piuttosto carichi e quelli che già al via sono deludenti, ripetitivi e così fasulli da risultare vergognosi. Domanda retorica: se le accuse del governo golpista birmano nel processo contro Aung San Suu Kyi fossero uno di questi serial, a quale categoria di eccezioni apparterrebbero?


Puntata Pilota – Governo Instabile in Corpore Sano. Abbiamo festeggiato (per così dire) in sordina l’anniversario del colpo di stato con cui il Tatmadaw, l’esercito del Myanmar, ha destituito il governo di Aung San Suu Kyi, leader del partito Lega Nazionale per la Democrazia, rieletta consecutivamente dal 2012. Lo stesso colpo che aveva fatto scena sui social per la storia dell’insegnante di aerobica che faceva ginnastica davanti ai suv neri dei golpisti che si dirigono verso il palazzo del governo [link]. Lo stesso colpo che per qualche motivo ha fatto più scalpore del Sudan, del Burkina Faso e degli altri che hanno avuto luogo nell’ultimo anno.


S1x01 – ONU che abbaia non può mordere. La comunità internazionale si è precipitata in difesa dell’LND e del governo democratico di Naypyidaw. Certo è che, più che una formale richiesta d’intervento, il risultato è sembrato più un “Ce la faremo” gridato dal balcone. Anzi, un “Ce la farete” – sottinteso uno scoraggiante “da soli”. Sufficienza scarna per le Nazioni Unite, dove si sono prodigati in fior di condanne verbali ai danni del Tatmadaw, ma che si sono visti le mani legate da Pechino in sede di Consiglio di Sicurezza.


S1x02 – Libertà è partecipazione. Le proteste non si sono fatte attendere e la repressione è stata dura e immediata. La violenza dell’esercito e le ripetute violazioni dei diritti umani sono state riportate in maniera massiccia dalle ONG sparse sul territorio e dai delegati ONU, i quali effettuano ricerche continue sulla situazione in cui versa il Myanmar e raccolgono prove e testimonianze sull’accaduto. Un paio di settimane fa, Der Spiegel ha pubblicato un’intervista struggente [la trovate qui su Internazionale tradotta in italiano] ad un reporter vittima di violenza lo scorso marzo, mentre stava facendo delle riprese ad una folla di manifestanti. Il ragazzo era stato colpito, prelevato, picchiato a volto coperto e poi recluso in carcere per sette mesi, da cui è uscito solo di recente, per rifugiarsi poi a Mae Sot, appena oltre il confine con la Thailandia, dove sono già migliaia gli sfollati che chiedono asilo scappando dalla dittatura militare. Quella che era iniziata come una protesta pacifica si è trasformata in ribellione civile violenta a seguito di alcuni episodi di fucilazione sommaria contro manifestanti indifesi. Ora il popolo cerca di lottare: i cittadini si sono organizzati in piccoli numeri e si sono rifugiati perlopiù nelle aree delle minoranze etniche e nelle campagne, dove hanno costituito una resistenza armata che non ha intenzione di cedere finché non si sarà tornati ad una cessione del potere da parte dell’esercito.


S1x03 – A Natale Siamo Tutti Più Buoni. L’hanno chiamata Strage di Natale, un nome macabro la metà di quanto realmente successo nello Stato Kayah, nel Myanmar dell’est, alla Vigilia di Natale. Si contano trentacinque vittime civili innocenti che scappavano dagli scontri tra le forze di resistenza e il Tatmadaw. L’indignazione diplomatica è tornata dunque a farsi sentire immediatamente in Occidente, tra l’aumento continuo del bodycount, la precarietà della situazione migratoria e il fatto che, stavolta, tra i morti c’erano anche due giovani membri di Save The Children (28 e 32 anni, padri di famiglia e con diversi anni di esperienza alle spalle).


S1x04 – Game of Accuses. Ma torniamo infine al titolo di questo articolo. Aung San Suu Kyi si trova agli arresti domiciliari dal giorno del golpe, così come il suo ex-Presidente Win Myint e i membri più fortunati della destituita leadership politica. La bizzarria sta nella maniera in cui l’esercito giustifica questa detenzione all’opinione pubblica e agli osservatori internazionali. Le accuse presentate a loro carico sono infatti sembrate immediatamente pretestuose e posticce: aveva fatto immediatamente scalpore quella di contrabbando di merce illegale per l’acquisto di alcuni walkie-talkie, per cui ci si rifaceva ad una regolamentazione obsoleta ma a quanto pare tremendamente comoda ed efficace. Due anni per questo. Due anni anche per la violazione della Legge per la Gestione dei Disastri Naturali n.21/2013: la mancata prevenzione in merito alla diffusione della Covid-19 e il dilagare del virus sarebbero dunque da imputare alla leader di allora, che non avrebbe adempiuto ai doveri dettati da una legge vaga come quella sopra citata, incentrata sulla formazione di gruppi di gestione delle crisi e non propriamente adatta alla gestione di una pandemia. Quattro anni sono invece il destino per l’incitamento alla violenza contro i militari e violazione delle norme sanitarie vigenti per via del coronavirus, a cui aggiungere accuse di brogli elettorali, corruzione e divulgazione di segreti di stato.


S1x05 – L’epilogo? Mi ha ricordato la scena finale di quello Sherlock Holmes hollywoodiano un po’ demenziale, con un Robert Downey Jr. creduto morto da Jude Law, il suo Watson, che va a scrivere a macchina il punto di domanda accanto alle parole “the end”, in chiusura del romanzo del collega. L’accusa del mese scorso è infatti l’ennesimo pretestuoso tentativo di estendere il più possibile la detenzione di Aung San Suu Kyi and Co.: sotto indagine ci sarebbe il danno finanziario recato dall’acquisto, noleggio e manutenzione di elicotteri. Anche gli analisti dicono che è tutta una montatura, ma penso che i nostri lettori sappiano che non serve molto per accorgersene. Questa pioggia acida di citazioni in tribunale non viene certo da un riscoperto zelo dei militari per lo stato di diritto.

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