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Nagorno Karabakh: il conflitto invisibile

DI PAULA MURESAN

05/02/2023

Sono passati più di 50 giorni da quando, lo scorso 12 dicembre, è stato bloccato il corridoio di Lachin: l’unica via di comunicazione tra la regione del Nagorno Karabakh e l'Armenia. L’interruzione del collegamento sarebbe dovuta a manifestazioni da parte di sedicenti ambientalisti azeri che reclamano l’autorizzazione per l’ispezione dell’area montuosa del Caucaso meridionale, ricca di miniere. Così facendo, hanno però ostacolato anche l’ingresso di medicinali, alimenti e beni di prima necessità, alimentando quindi la grave crisi umanitaria già in corso.

Un po’ di storia

Il contrasto tra Armenia e Azerbaijan affonda le sue radici nel primo dopoguerra, precisamente a marzo del 1922, nel momento in cui venne istituita la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica e dalla quale nacquero le repubbliche della Georgia, Armenia e Azerbaijan. 

Con la promessa che la Turchia diventasse comunista, Mustafa Kemal Ataturk si fece donare da Stalin i territori conquistati dai russi attorno al Monte Ararat, area vicino al confine ameno e iraniano. Oltre a questo, Stalin donò all’Azerbaijan come Oblast — definito “territorio autonomo” — due aree storicamente armene: il Nakhichevan e il Nagorno Karabakh, conosciuto anche come Artsakh. Dopo le concessioni, gli armeni del Nakhichevan vennero persuasi ad andarsene e tutto ciò che riguardava gli armeni in quel territorio venne cancellato o distrutto. L’exclave azera del Nakhichevan si trovava quindi in una situazione speculare al Corridoio di Danzica prima della Seconda Guerra Mondiale.

Con i primi prodromi della dissoluzione dell'Unione Sovietica, avvenuta poi nel 1991, la questione del Nagorno Karabakh — rimasta fino ad allora latente — riemerge: dopo la proclamazione d’indipendenza da parte dell’Armenia e dell'Azerbaigian, anche il Soviet locale dell’enclave cerca a sua volta di ottenerla. Di fronte a questo, gli azeri danno inizio ad una guerra contro i ribelli dell’Artsakh, che si concluderà solamente nel 1994 con un cessate il fuoco, e sarà vinta dagli armeni. La controversia, di fatto, non venne risolta e per questo nei decenni successivi sono state diverse le violazioni del cessate il fuoco. Di fronte all’ennesima escalation delle tensioni, a settembre del 2020 si arriva al conflitto armato tra le due parti: ha così inizio la Seconda Guerra del Nagorno Karabakh.

Il conflitto dura 43 giorni, durante i quali l’Azerbaijan riprende i territori perduti, tra cui Shusha. Anche in quell’occasione la guerra si concluse con un cessate il fuoco, ma questa volta sotto la mediazione russa di Vladimir Putin: questo, nel frattempo, aveva assunto una posizione fondamentale in veste di mediatore tra le due parti. A tal proposito, Mosca mantiene buoni rapporti sia con lo storico alleato armeno che con l’Azerbaijan, che gli fornisce materie prime.


Yerevan tra Mosca e Bruxelles, e il ruolo di Ankara: la situazione ad oggi

L’Azerbaijan di oggi è molto diverso da quello del 1994: negli anni è stato in grado di affermarsi come potenza energetica — grazie alla sua ricchezza in termini di petrolio e gas — e accrescere la sua forza militare. In particolare, ha coltivato un’alleanza con la Turchia: per Ankara, l’Azerbaijan rappresenta un tassello fondamentale per la propria sicurezza energetica. Secondo esperti militari, inoltre, i droni turchi e israeliani hanno garantito a Baku la superiorità militare e tecnologica: di fatto, questi sono stati centrali nella vittoria della Seconda guerra del Nagorno Karabakh.

Così come lo sono state molte delle ex repubbliche sovietiche, anche l’Armenia si è trovata ad un certo punto di fronte al cruciale dilemma: avvicinarsi all’Europa o consolidare i rapporti con la Russia. E’ evidente come lo scontro con l’Azerbaijan abbia influenzato la decisione di Yerevan in tal senso: l’affidamento all’alleanza militare con la Russia — che le assicura equipaggiamenti e truppe — è imprescindibile per l’Armenia. Nonostante questo, negli anni, l’Armenia ha portato avanti una politica parallela con Bruxelles: ad oggi, per la risoluzione delle controversie, Yerevan si rivolge ad entrambe le parti.

Dopo la guerra del 2020, l’ago della bilancia si è spostato a favore dell’Azerbaijan. Di fronte a questo, e anche in seguito anche al recente impegno da parte della Russia nella guerra in Ucraina, l’Azerbaijan è intervenuto nella questione con più forza. L’obiettivo degli azeri è quello di isolare completamente gli armeni, spopolando progressivamente la regione dell’Artsakh. A tal fine, Baku fa leva sulla fame e il freddo degli abitanti della regione: in seguito al blocco del corridoio di Lachin dello scorso dicembre, la popolazione ha visto gradualmente scarseggiare alimenti e medicinali, razionare elettricità e gas naturale per il riscaldamento e chiudere le scuole.


Conclusioni

A preoccupare la comunità internazionale è il forte immobilismo nelle trattative di pace, che potrebbe condurre ad una nuova escalation militare nella regione. La situazione è poi aggravata anche dal mancato intervento russo nella difesa armena in seguito ai ripetuti attacchi di Baku, inazione che ha fatto sì che venissero meno gli accordi di alleanza militare tra i due Paesi.

Oggi, le dinamiche internazionali descritte rischiano di peggiorare le condizioni di una parte della popolazione armena già stremata dalla crisi umanitaria in corso. L'ipotesi peggiore e più temuta dagli armeni è quella di una vera e propria pulizia etnica, “sia questa perpetrata attraverso la violenza diretta che attraverso forti pressioni per lasciare le loro case” (Filippo Sardella) e che alcuni analisti ritengono non sia da escludere.

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