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Una geopolitica dal basso: come le piazze occidentali ridefiniscono il dibattito sul Medio Oriente

di ELISABETTA SEMERARO

01/10/2025

Che ruolo ha al giorno d’oggi la mobilitazione politica da parte della società civile? Quale potere detiene quest’ultima nel ridefinire l’opinione pubblica e, in ultima istanza, influenzare le scelte politiche a livello internazionale?
Negli ultimi mesi, la questione palestinese è entrata con maggior forza nel dibattito pubblico occidentale, come anche nelle nostre case, e ha conosciuto un cambiamento evidente: a livello transnazionale con la Global Sumud Flotilla, e in Italia con un punto di svolta nello sciopero generale del 22 settembre 2025.
Rimane però un interrogativo cruciale: fino a che punto la società civile riesce davvero ad incidere sul piano internazionale, e quanto invece resta confinata ad interventi simbolici?

La Global Sumud Flotilla

La Flotilla è un’azione umanitaria, un intervento popolare coordinato da alcuni settori della società civile, ed esempio più evidente di solidarietà transnazionale a sostegno dei palestinesi. È stata oggetto di critica ma anche forza aggregatrice, è nata grazie al coinvolgimento di gruppi di attivisti e umanitari, con l’obiettivo di rompere il blocco navale israeliano al largo di Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione nella striscia, e ad oggi conta oltre 50 imbarcazioni e partecipanti da ben 44 Paesi. Se questi numeri sembrano limitati, basti pensare che si tratta della più grande missione marittima civile di portata internazionale mai organizzata, descritta da alcuni come “atto di resistenza civile non violenta”.

La Flotilla ha avuto conseguenze che vanno al di là della sua primaria azione: ha compattato ulteriormente la partecipazione civile, concretizzandola in un’operazione comune tangibile, perseguendo un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, e richiamando all’attenzione governi e istituzioni a livello internazionale.

La risonanza dell’iniziativa ha già ottenuto risultati: a Genova si stima che fossero fino a 50.000 le persone che hanno partecipato alla fiaccolata che ha accompagnato la partenza delle imbarcazioni, mentre i lavoratori portuali della città hanno lanciato per primi lo slogan: “Blocchiamo tutto, se qualcosa succede alla Flotilla”.


Lo sciopero del 22 settembre

La miccia accesa dalla Flotilla però non si è spenta, né a livello internazionale, con molti Paesi che hanno assistito ad iniziative in suo sostegno, né in Italia. Nel nostro Paese, il 22 settembre in numerose città si sono svolte manifestazioni promosse da sindacati di base, collettivi studenteschi e associazioni. Hanno partecipato lavoratori dal settore pubblico a quello privato, dalle industrie ai trasporti, con blocchi nei principali porti e snodi logistici.

L’obiettivo era esprimere sostegno alla popolazione palestinese e alla missione internazionale della Global Sumud Flotilla, unificati dallo slogan “Blocchiamo tutto”. Il fine? Richiedere al governo italiano interventi concreti sulla questione palestinese, con l’interruzione del sostegno istituzionale e commerciale allo stato di Israele.

La portata ha stupito molti osservatori: secondo alcune stime, la partecipazione ha superato le 100.000 persone[1], un coinvolgimento corale e capillare in tutto il nostro Paese, partito dalle piccole città di provincia fino ad arrivare ai grandi centri urbani, per un totale di oltre 75 città.

Se negli ultimi due anni la partecipazione politica in merito alla Palestina è stata spesso zittita e denigrata, oggi si percepisce un effetto a catena: anche il più restio dei nostri vicini di casa, alla fine, si è unito alla manifestazione.

Il cambiamento è evidente sia nelle forme che nei contenuti: si è passati dalla semplice espressione di solidarietà, alla richiesta concreta di responsabilità istituzionale, con il tema del coinvolgimento indiretto con Israele, ad esempio tramite la vendita di armi, e con un’azione di pressione reale e di boicottaggio.


Conseguenze

Secondo alcuni sondaggi, il sostegno al riconoscimento dello Stato di Palestina è in crescita in Europa, soprattutto tra i giovani. Questo trend si riflette nelle scelte politiche recenti di diversi Paesi occidentali, che, il 21 settembre, hanno ufficialmente compiuto tale scelta: Francia, Belgio, Regno Unito, Portogallo, Australia e Canada. Ad oggi, sono 156 su 193 i membri delle Nazioni Unite ad aver compiuto questo atto, che per quanto abbia solo un valore politico e non legale, è carico di significato nella rete di relazioni diplomatiche tessute tra i Paesi.

Il segnale è arrivato anche sul piano diplomatico multilaterale: lo si avverte nell’aula semivuota attorno al discorso di Netanyahu all’ONU in data 26 settembre, dopo che decine di delegati hanno lasciato la sala in segno di protesta. Il premier israeliano ha criticato aspramente i Paesi occidentali che negli ultimi giorni hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina, ringraziando invece Trump per l’intervento americano in Iran avvenuto a giugno.

Nel frattempo, il presidente americano ha presentato alla Casa Bianca un piano in ventuno punti che prevede il raggiungimento della tregua nella striscia di Gaza con il cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi, il ritiro degli israeliani dai territori occupati, l’apertura della striscia agli aiuti umanitari attraverso l’ONU e le sue agenzie e l’avvio di una nuova amministrazione slegata da Hamas. I ventun punti includono la formazione di un comitato palestinese tecnico e apolitico per il governo temporaneo a Gaza, e la creazione di un organismo internazionale di transizione che supervisioni la situazione: il “Board of Peace”, presieduto da Trump. Dopo la fase di transizione il potere politico sarà lasciato nelle mani dell’ANP. Questi recenti sviluppi sollevano molti dubbi riguardo al futuro della Palestina: Hamas al giorno d’oggi non ha ancora accettato il piano, il quale non è stato approvato nemmeno dal gabinetto di sicurezza israeliano. Si tratta inoltre di un programma molto generico, come osservano alcuni analisti geopolitici, che prevede tempi lunghi e un forte intervento da parte di Stati ed enti esterni, a decidere per il futuro di milioni di civili.

Una delle tante domande da porsi è se la mobilitazione pubblica abbia avuto un impatto sugli avvenimenti recenti, o se in fondo, la geopolitica si giochi soltanto sui tavoli di negoziazione dei leader mondiali. In sostanza, la questione è se la società civile anticipi il cambiamento istituzionale, oppure se l’opinione pubblica recepisca solamente il cambiamento “dall’alto”. Un’ipotesi avvalorata è che non sia la società civile a decidere direttamente le politiche, ma che spinga verso temi che poi diventano ineludibili da parte delle istituzioni, come è avvenuto nel caso della Palestina in tempi recenti.

Le piazze però non sono esenti da limiti, ed esiste il rischio che, se anche le proteste portino il tema nell’agenda pubblica, ciò non si traduca in decisioni istituzionali concrete, che rimangono ancorate ad interessi geopolitici ed economici.


Conclusione

L’ampia mobilitazione della società civile a sostegno della causa palestinese nelle ultime settimane mostra un chiaro segno di cambiamento nell’opinione pubblica, creando un contesto che rende più difficile per le istituzioni ignorare il tema.

Forse l’opinione pubblica rimane fluida nelle sue istanze, talvolta cambia rotta a seconda delle tendenze, ed è eterogenea al suo interno. Però, la crescita della partecipazione civile indica che esiste ancora uno spazio di influenza popolare, che vede un coinvolgimento che va al di là di un commento sui social o un sospiro davanti al telegiornale. Se è vero che la democrazia è partecipazione, in Italia come in molti paesi occidentali rimane il rischio del disinteresse, come testimoniato dall’affluenza ai seggi elettorali che nelle ultime votazioni ha toccato i minimi storici. La questione dell’impatto di queste iniziative popolari sulle dinamiche istituzionali rimane ancora aperta, e la sfida sarà trasformare episodi di protesta in partecipazione attiva e consapevole alla vita politica.


[1] Diverse fonti citano numeri differenti. Gli organizzatori hanno parlato di almeno 100mila persona a Roma, a Bologna 50mila, a Torino 30mila, decine di migliaia su Genova, Milano e Napoli, e migliaia in Calabria, Marche, Puglia e nelle Isole.

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