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Pride VS. Shame: la lotta della comunità LGBTQ+

DI LAURA NOAH PESAVENTO

08/09/2020

Qual è la storia della comunità LGBTQ+ e qual è la sua condizione attuale? Quali battaglie ha vinto e quali diritti sta ancora rivendicando? Con lo sguardo rivolto principalmente al contesto occidentale, analizziamo queste e molte altre tematiche insieme ad Ilaria Pitti, docente di “Gender studies e politiche di genere” e ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell'Economia dell'Università di Bologna.

La parola “pride” tradotta dall'inglese significa orgoglio e associata alla parola “gay” vuole sottolineare la possibilità che tutti hanno di provare autostima e fiducia in sé stessi. L'orgoglio è la cura che respinge la vergogna e la paura, sentimenti che sono troppo spesso provati da chi fa parte della comunità LGBTQ+. Quest'ultima si è dovuta nascondere, è stata emarginata, è stata costretta alla repressione della propria natura pur di non perdere la vita, e non sempre è bastato. Dopo anni di violenze, la comunità LGBTQ+ ha fatto sentire la sua voce nei confronti della polizia, della politica, delle istituzioni e ha iniziato a lottare per acquisire il diritto fondamentale di essere sé stessa e di poter uscire allo scoperto. Per rappresentarsi al mondo intero, la comunità ha scelto un elemento della natura, ossia l'arcobaleno. La prima “rainbow flag”, creata nel 1978, aveva otto strisce colorate, ognuna con un suo significato: “rosa per il sesso, rosso per la vita, arancione per la guarigione, giallo per la luce del sole, verde per la natura, turchese per l'arte, indaco per l'armonia e viola per lo spirito.”

Purtroppo, il percorso verso l'inclusione e verso l'uguaglianza è ancora lungo e tortuoso, basti pensare che solo nel 1990 l'OMS ha rimosso l’omosessualità dal suo elenco dei disturbi mentali del DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, e che la transessualità dovrà aspettare questo privilegio addirittura fino al 2019.

Qual è la storia della comunità LGBTQ+ e qual è la sua condizione attuale? Quali battaglie ha vinto e quali diritti sta ancora rivendicando? Con lo sguardo rivolto principalmente al contesto occidentale, analizziamo queste e molte altre tematiche insieme ad Ilaria Pitti, docente di “Gender studies e politiche di genere” e ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell'Economia dell'Università di Bologna.


Professoressa, quando parliamo della comunità LGBTQ+ a chi ci stiamo riferendo esattamente?

La sigla “LGBTQ+” è una sigla ombrello, ossia fa riferimento a diversi tipi di identità sessuale e di genere. Tutta l'attuale comunità affonda le sue origini nei movimenti lesbian and gay che si vanno a creare principalmente negli Stati Uniti verso gli anni '50-‘60, anche se c'erano state diverse mobilitazioni già prima della Seconda Guerra Mondiale. La comunità LGBTQ+ si sviluppa dall'iniziale nucleo identitario definito da uomini gay da un lato e donne lesbiche dall'altro. Queste due identità sono state talvolta anche in forte contrasto tra loro, ma negli anni l'attrito è andato via via scemando fino a raggiungere una fondamentale unione delle rispettive battaglie. Successivamente, seppure spesso con qualche attrito nella fase di integrazione iniziale, si sono incluse altre soggettività, in particolare quella bisessuale e quella transgender. È, infine, dagli anni '90 che alla sigla si aggiunge anche l’identità “queer”. Il concetto “queer” è relativamente recente, si sviluppa grazie ai contributi teorici di Judith Butler e Teresa De Lauretis e va a definire una categoria volutamente indefinita,  fluida, non-etichettabile. L'aggiunta alla sigla della lettera Q e poi del + servono infatti a mantenere l'insieme quanto più aperto e libero per includere qualsiasi identità di genere e sessuale che non si riconosca con l'identità eterosessuale.


Quando e come è nato il primo Pride? Cosa significava allora e quale significato ha assunto adesso?

La storia contemporanea del movimento LGBTQ+ parte dai “Moti di Stonewalls”. Siamo negli Stati Uniti nel 1969e all'epoca l'omosessualità, il transgenderismo e il travestitismo erano reati legalmente punibili. Tuttavia, erano presenti dei locali in cui la comunità gay poteva incontrarsi ed esprimere la propria persona, ma questi erano spesso sottoposti a dei raid della polizia ed essere scoperti in luoghi del genere comportava conseguenze pesantissime come la perdita del lavoro o della propria casa. Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 nel pub newyorkese “Stonewall Inn” scatta un raid, ma alcune soggettività LGBTQ+ si ribellano. La storia dell'accaduto è poco chiara e ci sono opinioni discordanti su chi abbia iniziato la rivolta, ma comunque l'opposizione verso la polizia è stata così forte da dare vita ad una rivolta che è continuata per alcuni giorni. Da allora, ogni 28 giugno si celebra il “Gay Pride” e in generale giugno è il mese del Pride.

Da quell'evento, il movimento si è evoluto sotto tanti punti di vista. Innanzitutto, si è allargato a tanti tipi di soggettività diverse e si è espanso geograficamentedai paesi anglosassoni verso gran parte del mondo occidentale. Inoltre, è cambiato cosa viene chiesto e attraverso quali modalità. Queste ultime sono altalenanti: il Gay Pride parte da una pura rivolta, ma acquisisce elementi propri di una celebrazione e ancora oggi – a seconda dei contesti - oscilla tra questi due poli. La forma che esso va ad assumere varia in base al grado di inclusività della società, allo stato dei diritti riconosciuti alle persone LGBTQ+ nel quadro di riferimento e alla reazione delle autorità alla manifestazione. Anche i contenuti dipendono molto dal contesto e possono variare dalla semplice  ma non scontata rivendicazione dell’esistenza dell’identità LGBTQ+, al tentativo di ottenere più diritti su specifiche questioni legali, come i matrimoni gay. Guardando al caso italiano, se negli anni ’90 e 2000 il Pride sembrava aver assunto una funzione prevalentemente celebrativa e festiva, negli ultimi anni c'è stato un chiaro ritorno ad una dimensione di rivendicazione. Questo sia a causa dei numerosi e quotidiani casi di omofobia e transfobia sia perché la tematica LGBTQ+ si è andata a ripoliticizzare, intersecandosi con altre forme di discriminazioni, come quelle legate alla razza o alla classe di appartenenza. Un ruolo centrale nel recente ritorno alla dimensione di ‘lotta’ nel Pride si lega anche alla maggiore attenzione riservata alle soggettività trans* che ancora oggi incontrano enormi difficoltà in termini di discriminazione e riconoscimento.


Come mai sembra così difficile accettare la comunità LGBTQ+?

Credo che sia prettamente una questione di socializzazione e di educazione a questo argomento: persone che hanno conosciuto e affrontato queste tematiche all'interno di un percorso educativo tendono ad essere maggiormente aperte. Ovviamente è anche una questione intergenerazionale perché le vecchie generazioni sono state meno educate all’inclusione del “diverso”.

Un altro motivo fondamentale ci viene insegnato da Foucault, il quale afferma che l'identità gay è stata costruita in contrapposizione a quella eterosessuale e questa costruzione ‘per differenza’ presenta sia pro che contro. Essere diversi ed identificarsi in qualcosa da un lato crea un gruppo, permette di costruire delle relazioni tra simili e di dare un nome a ciò che si è, ma dall'altro consente anche l’etichettamento, il controllo, il distanziamento sociale e questo è un paradosso che sta alla base della costruzione della comunità LGBTQ+. Definirsi come diversi ha permesso di poter rivendicare i propri diritti, la propria esistenza e di affermare i propri bisogni, ma ha anche enfatizzato al popolo più bigotto il fatto che le soggettività LGBTQ+ siano intrinsecamente differenti e devianti. Ad esempio, nelle prime rappresentazioni televisive gay e lesbiche il personaggio gay era definito unicamente dal suo orientamento sessuale in modo da accentuare la sua estraneità dal mondo eteronormativo. È una questione davvero molto ampia e credo ci sia una profonda necessità di riflettere e trovare delle somiglianze nella nostra diversitàin modo da superare questa omofobia generalizzata.

L'avversione verso l'identità LGBTQ+ è stata oggetto di molte ricerche e queste hanno dimostrato che l'omofobia è particolarmente diffusa tra i maschi eterosessuali perché essere omofobi e distanziarsi dall'identità gay permette di riaffermare la propria eterosessualità. L'analisi di questo argomento si sviluppa all'interno dei masculinity studies, ossia degli studi di genere relativamente recenti che si concentrano sulla costruzione sociale della maschilità. A partire dagli anni ’90 questi  hanno concentrato la loro attenzione su un'identità “normale” e data per scontata dall'intera società, ossia quella del maschio (bianco) eterosessuale. Da queste ricerche emerge che la maschilità, come la femminilità, è una costruzione sociale che deve essere costantemente affermata davanti al proprio pubblico di riferimento composto dagli altri uomini eterosessuali. Da ciò è stato dedotto che tanti comportamenti tipicamente maschili, come l'omofobia e la violenza di genere, sono “strumenti” che gli uomini usano per affermare la propria maschilità, vissuta come una caratteristica estremamente fragile. L'omofobia è provata anche dalle donne, ma statisticamente è nettamente meno diffusa per via del suo essere essenzialmente una forma di rifiuto della femminilità.


Che ruolo gioca la religione, soprattutto quella cattolica, nell'accettazione della comunità LGBTQ+?

All'interno della comunità cattolica vi sono diversi fronti e purtroppo il dibattito mediatico ha dato maggior rilevanza ad un sentimento omofobo e complottista. Dobbiamo tener presente che qualsiasi religione è caratterizzata da costanza e dalla capacità di rimanere fedeli a sé stessi ed è per questo che è presente una forte resistenza verso l'identità LGBTQ+ e il cambiamento in generale. Infatti, la matrice cattolica tende a naturalizzare il genere, a fondarsi sulla naturalità del corpo e sulla centralità della riproduzione come fine ultimo dell'atto sessuale. Il genere viene visto come la lineare evoluzione della nostra biologia e con due uniche vie naturali di sviluppo: uomo biologico e donna biologica. Tuttavia, un esempio non lontano da noi riguarda le chiese luterane svedesi, dove è presente una sostanziale apertura a queste tematiche: famoso è il caso della chiesa di San Paolo a Malmö (Sankt Pauli Kirka), il cui altare è decorato con dipinti che ritraggono due Eve o due Adami. Questo per affermare che la religione può e dovrebbe essere uno strumento di inclusione.


È presente un collegamento tra l'avvento del cristianesimo e l'inizio delle discriminazioni verso la comunità LGBTQ+?

Sebbene la religione cristiano-cattolica abbia avuto un ruolo importante nella diffusione di idee omofobiche tra la popolazione, le forze che hanno portato allo sviluppo delle discriminazioni nei confronti degli omosessuali sono molteplici. Una preziosa analisi ci viene offerta da Foucault in “Storia della sessualità”. Egli afferma che per rispondere a questa domanda non bisogna concentrarsi sull'elemento religioso ma su quello economico: l'omosessualità non è funzionale al capitalismo ed inizia a diventare un “problema” da gestire e reprimere man mano che si sviluppa il sistema capitalistico. Riprendendo Marx, Foucault vedeva alla base del sistema capitalista l'accumulazione di denaro da parte del maschio bianco e la divisione dei compiti in base al genere. Il capitalismo doveva allontanare l'uomo da tutte quelle attività che lo distoglievano dal lavoro e tra queste rientrava anche lo spazio da dedicare all'esplorazione della propria naturale sessualità. Dall'altro lato, l'eterosessualità era vista come funzionale al capitalismo perché permetteva di avere dei figli, i quali avrebbero ereditato i beni dei genitori e li avrebbero accumulati ed incrementati. Foucault scrive infatti che la stessa parola “omosessuale” non esisteva fino al 1800: definendo un nuovo fenomeno come tale gli si va ad associare una funzione positiva di conoscenza, creazione di network e rivendicazione della propria differenza, ma anche una negativa di discriminazione e controllo sociale. Da questo punto si sviluppa tutta la teoria queer: se noi abbattiamo le definizioni  forse potremmo liberarci dalle forme di oppressione che esse creano.


Qual è la condizione attuale della comunità LGBTQ+? Quali sono gli obiettivi raggiunti e le battaglie che si stanno ancora combattendo?

All'interno del contesto occidentale, lo stato attuale della comunità è quello di numerosi passi in avanti: essere gay non è più un comportamento illegale o contro il pubblico decoro. Sul piano formale è illegale discriminare una persona per la sua identità sessuale e vi è la possibilità di un riconoscimento come coppie di fatto e addirittura di potersi sposare e adottare un bambino in alcuni stati. Sul piano informale sappiamo che la presenza di una legge non presuppone la sua completa applicazione nella quotidianità. L'omofobia gioca più subdolamente oggi rispetto al passato e abbiamo continue prove del fatto che il lavoro da fare è molto: non tanto nel campo giuridico, quanto più in quello della socializzazione, dell'educazione nelle scuole e nella sfera pubblica, della quotidianizzazione dell'omosessualità. Ovviamente restano aperte delle questioni fondamentali sul piano legale come la legge contro gli ”hate crimes” e contro l'”hate speech”, crimini e discorsi di odio fondati sul genere, e come la questione dei diritti di adozione, di maternità e paternità. Qui si apre un tema ampio che riguarda l'adozione, l'appropriazione assistita ed eterologa, la pratica dell'utero in affitto che viene vista come una possibilità per una coppia gay di avere dei figli, ma anche come sfruttamento del corpo femminile. Un'altra problematica che necessita di una risoluzione riguarda la transessualità perchè è difficoltoso per coloro che compiono un percorso di transizione da un genere all'altro vedersi riconosciuti nell'identità che sentono più appropriata. Ad esempio, nelle università è possibile disporre di documenti doppi, quindi uno per il genere di nascita e un altro per quello acquisito, ma abbiamo ancora i simboli “uomo” e “donna” nei bagni e questa è una chiara violenza quotidiana nei confronti delle persone transgender.

Purtroppo le istituzioni universitarie sono troppo indietro riguardo alla tematica LGBTQ+ e ciò è dimostrato anche dallo spazio limitato che si concede agli studi di genere. È più che mai necessario associare al piano legale un ruolo più attivo e presente delle associazioni e delle istituzioni perché queste e tutto il resto della società omofobica vanno ingiustamente a determinare e imporre un futuro tutt'altro che roseo ai componenti della comunità LGBTQ+.


Professoressa, che libri ci consiglia per iniziare a conoscere e ad approfondire questo interessante e importante argomento?

Vi consiglio “Storia della sessualità” di Foucault; “Questione di genere” di Butler; “L'aurora delle trans cattive” di Porpora Marcasciano, la quale ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo di tutto il Movimento Transessuale Italiano (MIT); “Homos” di Leo Bersani, che è la prima analisi sistematica della cultura popolare gay; e “Queer theory” di De Lauretis, prima persona ad utilizzare il termine queer in ambito accademico.

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