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Come (non) funziona la revisione dei trattati dell’Unione europea

DI CHIARA ANDREAZZA

17/10/2022

Lo scorso giugno il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per la revisione dei trattati istitutivi dell’UE. Tra le richieste ci sono soprattutto riforme istituzionali, ma anche cambiamenti nelle procedure decisionali e nelle competenze europee. Tutte modifiche che non possono andare in porto senza l’approvazione del Consiglio europeo, che però si ostina a non dare risposte.

Lo scorso 9 giugno, a seguito della chiusura della Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFoE), il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per la revisione dei trattati istitutivi dell’Unione Europea. Ora, secondo la procedura, dovrebbe essere il Consiglio europeo (conferenza dei capi di stato e di governo dei 27 paesi membri) a decidere se aprire o meno una convenzione, ma gli stati membri non sembrano intenzionati a prendere posizione tanto presto.


Le riforme proposte dal Parlamento sono state raccolte al termine della Conferenza sul futuro dell’Europa: una consultazione dei cittadini che, tra l’aprile 2021 e il maggio 2022, ha permesso a tutti gli europei di dibattere (online) su come migliorare l’UE. I contributi registrati sulla piattaforma della CoFoE sono stati circa 50mila e, da questi, il Parlamento ha estratto delle proposte di modifica dei trattati da sottoporre alle altre istituzioni e agli stati membri.

Il risultato è stato trasmesso al Consiglio dell’Unione Europea (o Consiglio, organo composto da un ministro competente per stato membro a seconda della materia affrontata) per una prima lettura, in attesa del parere definitivo del Consiglio europeo.


Per aprire una convenzione sarebbero sufficienti i voti favorevoli della metà più uno degli stati membri, ma oggi l’esito non è affatto scontato. Già più di una decina di paesi dell’est e del nord Europa si sono dichiarati contrari a una revisione: ad esempio, la premier finlandese Sanna Marin, nel suo discorso al Parlamento europeo del 13 settembre, si è chiaramente opposta a una modifica istituzionale “nel mezzo della crisi” che oggi viviamo.


Le riforme istituzionali

Il testo approvato dal Parlamento (355 voti a favore, 154 contrari e 48 astensioni) ha tra le sue prime richieste quella di migliorare la capacità di azione dell’UE riformando le procedure di voto in Consiglio europeo. Nello specifico propone di passare dal voto all’unanimità al voto a maggioranza qualificata (voto favorevole del 55% degli stati membri, che rappresentino almeno il 65% delle popolazione) nelle decisioni che riguardano sanzioni, emergenze e le cosiddette clausole passerella.


Le sanzioni hanno spesso creato problemi all’interno dell’UE in passato, in diverse occasioni alcuni governi, in genere i più euroscettici, ne hanno impedito l’adozione sfruttando il loro diritto di veto. Pensiamo a Cipro, quando nel 2020 bloccò le sanzioni alla Bielorussia, o anche all’Ungheria, che fino a qualche settimana fa minacciava di impedire l’approvazione dell’ultimo pacchetto di sanzioni alla Russia. Con il voto a maggioranza qualificata l’Unione Europea non rischierebbe più di cadere ostaggio dei singoli stati e potrebbe agire con più facilità.


Le clausole passerella invece consistono nella possibilità di cambiare occasionalmente procedura legislativa in certi settori: da quella speciale, che vede il Consiglio dell’Unione Europea come unico legislatore, a quella ordinaria, in cui Parlamento e Consiglio sono co-legislatori. Dall’unanimità al voto a maggioranza qualificata per le materie di competenza del Consiglio europeo.

Ad oggi per attivare una delle clausole passerella è necessario il favore unanime del Consiglio o del Consiglio europeo (a seconda della materia affrontata) mentre il Parlamento chiede che si passi alla maggioranza qualificata. Una proposta giustificata dal fatto che non è mai stato raggiunto il consenso necessario per attivare queste misure, nonostante fossero state pensate per snellire i processi decisionali.


Sempre a proposito di riforme istituzionali, il Parlamento chiede che gli venga riconosciuto il diritto di avviare, modificare e revocare la legislazione e di avere il ruolo di colegislatore sul bilancio UE.

Un posizione diversa da quella attuale, in cui l’iniziativa legislativa spetta alla Commissione europea (istituzione formata da 27 commissari, delegati da ogni paese membro) e il Parlamento può solo chiederle di portare avanti una proposta. Vale lo stesso anche per l’approvazione del bilancio: lo propone la Commissione, viene visionato e modificato dal Consiglio e, alla fine, il Parlamento può solo decidere se adottarlo o meno, con degli eventuali emendamenti.


Lo stato di diritto e le competenze europee

Al terzo punto della risoluzione parlamentare, si ribadisce la necessità di tutelare lo stato di diritto all’interno dell’Unione Europea, chiarendo le conseguenze delle sue violazioni. Richiesta che avviene a causa delle tensioni con alcuni stati dell’est Europa, in particolare con l’Ungheria.

In una relazione del Parlamento dello scorso 15 settembre Budapest è stata descritta come “autocrazia elettorale”, accusata di poca trasparenza durante le elezioni e nella magistratura, e di mancato rispetto della libertà di espressione e dei diritti delle minoranze.

La procedura di infrazione (Art. 7 TUE) nei suoi confronti era già stata avviata nel 2018 ma, da allora, la posizione di Budapest non è cambiata. Motivo per cui il Parlamento chiede che vengano inseriti nei trattati metodi più efficaci per contrastare le derive autocratiche, prima di arrivare alla totale sospensione dei diritti di stato membro UE.


Infine il Parlamento affronta una serie di temi in cui servirebbe ampliare le competenze dell’Unione Europea. Vengono citate politiche sociali ed economiche comuni, salute, energia e politica estera e di difesa. Tutte questioni che negli ultimi anni sono state in primo piano nel dibattito pubblico, prima con la pandemia e il cambiamento climatico e ora con la guerra in Ucraina e la crisi energetica.

La limitata capacità dei singoli stati di fare fronte a problemi di portata mondiale è sempre più evidente e, ad ogni nuova crisi, le risposte si cercano dall’Europa. Il Parlamento chiede semplicemente gli strumenti per poterle dare.




"È ora di rinnovare la promessa europea, di migliorare il nostro modo di agire e prendere le decisioni. Qualcuno potrebbe dire che non è il momento giusto, ma se vogliamo davvero prepararci al mondo di domani dobbiamo essere in grado di intervenire sulle questioni che stanno più a cuore alle persone. E dato che ci stiamo impegnando seriamente per allargare l'Unione, dobbiamo impegnarci seriamente anche per riformarla. Pertanto, come questo Parlamento ha chiesto, ritengo che sia giunto il momento di una convenzione europea", ha detto la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione dello scorso 14 settembre, e si è di fatto schierata a favore delle istanze del Parlamento.

Il prossimo vertice del Consiglio europeo sarà il 20 ottobre, ma è piuttosto probabile che l’apertura di una convenzione non venga affatto discussa. Gli stati membri non si sono resi disponibili verso una revisione dei trattati ma hanno solamente garantito l’attuazione di tutte quelle misure che non comportano cambiamenti istituzionali.

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