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Come Mosca usa la diplomazia per affermarsi nelle relazioni internazionali. Il caso Anchorage.

Di Rosario Macrì

13/11/2025

«Grattez le Russe, vous trouverez le Tartare»
«Gratta un Russo e troverai un Tartaro»
“Occidentale solo di facciata”, così Astolphe de Custine nel libro “La Russie en 1839” descrive la Russia. Un giudizio che, pur risalendo all’Ottocento, resta ancora oggi attuale: la Federazione Russa continua a mostrarsi europea solo esteriormente, mentre conserva al suo interno tratti economici, sociali e politici profondamente diversi dal modello occidentale. Questa duplicità, tra immagine europea e identità autonoma, tra modernità e tradizione, è la chiave per comprendere il comportamento della diplomazia russa nell’attuale scenario geopolitico.
L’intento di questo articolo è analizzare la natura complessa della diplomazia russa, ricostruendone l’evoluzione storica e mettendo in luce le sue caratteristiche contemporanee, spesso improntate a una combinazione di forza, pragmatismo e ricerca di riconoscimento come grande potenza. Attraverso l’esame del caso di Anchorage, dove si è tenuto il vertice tra Stati Uniti e Russia; Il primo dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Parleremo di come Mosca utilizza il dialogo diplomatico non come strumento di distensione, ma come mezzo per consolidare la propria posizione internazionale e riaffermare la sua influenza globale.

Nel cuore del pivot diplomatico russo


Risulta necessario aprire un piccolo excursus storico sulle linee seguite da Mosca e dalla sua diplomazia nel corso dei secoli, almeno dei più recenti. Possiamo dividerne la storia in tre sezioni temporali: Epoca zarista, sovietica e contemporanea. Partendo da Pietro il grande che istituisce la presenza di corpi diplomatici permanenti all’estero e punta allo sbocco verso i mari caldi costruendo la flotta del Mar Nero, la sua opera verrà portata avanti da Caterina II che punterà a fare dell’Impero un attore importante per gli equilibri Europei e ciò si perpetrerà fino al XIX secolo, dove il focus si sdoppia e si guarda all’espansione (Russificazione) verso i territori più remoti dell’impero (Caucaso, Siberia) tentando di affermarsi come potenza globale senza successo (siamo negli anni dove il Giappone infligge pesanti sconfitte alla flotta Imperiale) indebolendosi sino ai fasti eventi del 1917. Sono anni di violenza e trasformazioni, fra tutte la diplomazia viene utilizzata come uno strumento ideologico, fortemente subordinata al partito ed al suo leader. Negli anni della Guerra Fredda diventa simbolo della linea Sovietica e della sua diplomazia Andrej Gromyko, aka “Mr. Nyet”, abile diplomatico che logorava le controparti con una linea ferrea che puntava sempre più in alto del necessario per ottenere margini di guadagno. Ora capiamo quanto sia complicato interpretare la diplomazia russa, segnata dal costante timore per la vulnerabilità dei confini e dalla necessità di creare “stati cuscinetto” per garantire profondità strategica. Il “complesso di accerchiamento” resta un tratto distintivo della visione geopolitica russa, primitiva nelle origini ma ancora oggi attualissima. Con il crollo dell’Urss il testimone passa ad Evgenij Primakov, Ministro degli esteri che getta le basi post ‘91 della nuova diplomazia russa; Votata al multipolarismo, antinomia all’egemonia statunitense e all'incremento dei legami con Medio Oriente, Cina e India. Questi concetti chiave influenzano ancora oggi la postura internazionale della diplomazia moscovita. Arriviamo ai giorni nostri con la figura di Sergej Viktorovič Lavrov, nominato Ministro degli affari esteri nel 2004 e cardine della diplomazia putiniana, la cui linea si caratterizza per fermezza e assertività nei confronti di NATO ed Unione Europea, oltre ad un marcato utilizzo della diplomazia come strumento di proiezione di potenza e legittimazione del regime sul piano interno.


Come funziona la diplomazia russa oggi


La diplomazia Russa contemporanea è definita coercitiva, perché mischia l’utilizzo di hard power, come forza militare, fonti energetiche e sicurezza con mezzi di soft power, fra cui troviamo il sostegno di gruppi estremisti, crisi migratoria, contropropaganda e droni. Il tutto, unito al know-how diplomatico, in chiave realista per portare avanti gli interessi del Cremlino e consolidarne l’influenza geopolitica. 

Ciò che la differenzia al modello USA è anche il paradigma culturale: Il blocco Occidentale parla di democrazia, autodeterminazione dei popoli, diritti umani. Quello Russo di interessi nazionali e rispetto reciproco rifiutando i valori universali ed enfatizzando l’importanza dell’inviolabilità della sovranità statale. 

L’approccio al confronto per i rappresentanti della politica estera russa si basa sulla reciprocità, definita da Lavrov come la “legge delle relazioni internazionali”, e sulla necessità di voler essere trattata come potenza in un piano di parità e di rispetto.

L’obiettivo primario, dunque, è la stabilità e quest’ultima può solo passare attraverso uno stato forte. Infine, è utile sottolineare come la linea tra guerra e pace sia volutamente “confusa”. I negoziati non sono visti come un'opportunità di dialogo e pacificazione, ma come la continuazione della guerra con altri mezzi, in cui il ricorso all’hard power è selettivo ed orientato al raggiungimento degli obiettivi statali. Il caso di Anchorage è un perfetto esempio di questa strategia in quanto, mentre i leader della Casa Bianca e del Cremlino discutevano i termini dei negoziati, l’esercito russo intensificava la pressione e gli attacchi sulle linee Ucraine


Il summit di Anchorage


Il vertice ferragostano, tenutosi ad Anchorage, fra Donald Trump e Vladimir Putin è stato il primo incontro dopo l’invasione russa dell’ucraina nel 2022. La scelta del luogo per l’incontro ha rappresentato un punto d’incontro “gelido” per le due potenze. 

Il colloquio, durato tre ore e conclusosi senza una dichiarazione di cessate il fuoco, ha lasciato molti dubbi senza risposta, ma una cosa è certa: Putin è stato riabilitato sullo scenario internazionale dopo quasi quattro anni di assenza e per giunta senza consultare i partner Europei. Non è bastato al presidente Trump “mostrare i muscoli” accogliendo Putin con dei caccia in volo. Il leader Russo ha sfruttato l’incontro in Alaska per ribadire le proprie posizioni sulla guerra e lasciare Trump senza risultati concreti, dimostrando la capacità di Mosca di usare il dialogo bilaterale per rafforzare la propria immagine di fronte a un’America stanca e poco incisiva.

L’incontro ha giovato più la parte Russa che quella statunitense, creando una frattura importante in cui inserirsi nella già fragile alleanza nord-atlantica, confermando come la diplomazia Russa punti a una strategia di proiezione del potere per riaffermare Mosca all’interno dello scenario internazionale sempre più frammentato. 

Ci troviamo quindi di fronte a un risultato contrastante: Storicamente parlando gli incontri fra i due paesi sono sempre stati motivo di interesse sul piano internazionale perché fonte viva di svolte inattese e soluzioni a problemi complessi, a questa volta non è stato così. Ulteriore dimostrazione ne sono le indiscrezioni emerse negli ultimi mesi sui disaccordi dei due leader a porte chiuse, l’annullamento della cena al termine del meeting e le discordanti dichiarazioni del ministro degli esteri Lavrov sull’incontro.


Il Blocco Occidentale è in grado di dialogare con la Federazione Russa?


La domanda sorge spontanea: dopo venti anni di disarmo e stabilità sul fianco est dell'Europa, l’Occidente può dialogare con la Russia?Bisogna però comprendere il proprio interlocutore e le sue motivazioni strategiche. Donald Trump utilizza un approccio commerciale, Vladimir Putin quello di storico in capo di un ex-impero vacillante e complesso attento alle influenze regionali e alla sicurezza statale.

Come sottolineato da Sergej Lavrov e Sergej Rybakov: “La Federazione è aperta al dialogo onesto e reciprocamente vantaggioso, ma solo se gli interlocutori rispettano la parità e riconoscono gli interessi Russi”. La linea della diplomazia russa resta selettiva, condizionata e fedele alla propria narrazione storico-strategica, interessata a essere rispettata sullo scenario internazionale prendendo tempo e talvolta esasperando il proprio interlocutore. Ciò appare come un ostacolo per l’Occidente, che ha interesse a risolvere rapidamente i conflitti. Per Mosca, invece, è proprio la continuazione di questi ultimi a costituire spesso una leva per perseguire i propri interessi geopolitici, coerentemente con l’ottica spietatamente realista che la caratterizza e con la complessità statale e diplomatica russa.


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