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Non solo una questione di cibo

DI LAURA NOAH PESAVENTO

16/03/2021

“Without peace, we can't end world hunger; and while there is hunger, we will never have a peaceful world” - United Nations, World Food Programme ( Nobel Peace Prize Laureate 2020)

Uno sguardo generale al problema
Lo spreco alimentare è un problema mondiale che si verifica in ogni passaggio della filiera alimentare, dall'agricoltore al consumatore finale. Secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, in sigla FAO, ogni anno 1/3 del cibo prodotto viene perso o sprecato, per un ammontare di 1,3 miliardi di tonnellate all'anno dal valore pari a circa mille miliardi di dollari. Tutto ciò avviene nonostante quasi 1 miliardo di persone soffre di denutrizione e, inoltre, nel 2020 la prima causa di morte al mondo, con ben più di 10 milioni di decessi, è stata la fame.

Lo spreco alimentare è il risultato dell'insieme di tre momenti diversi. Vi sono le perdite che si verificano durante la coltivazione, l’allevamento, la raccolta o durante il trattamento della materia prima (food losses);  gli sprechi che avvengono durante la produzione industriale (food waste); e infine gli sprechi domestici, ossia gli alimenti acquistati dalle famiglie che poi non vengono consumati.

L’impatto maggiore nello spreco di cibo viene dall’agricoltura – che comprende la conservazione e la logistica, passando anche per situazioni climatiche sfavorevoli e surplus produttivo.
Successivamente, vi sono gli scarti derivanti dai processi di trasformazione alimentare, sino ad arrivare alla distribuzione. Gli errori che riguardano quest'ultima si riscontrano principalmente negli ordini e negli imballaggi deteriorati.

Infine, si arriva al consumatore. Gli sprechi di cibo domestici dipendono dall’acquisto di quantità eccessive di cibo, da una mancanza di pianificazione delle scorte e da una conservazione sbagliata degli alimenti.


Spreco alimentare nel bel Paese

A livello mondiale, dal 1974 ad oggi lo spreco alimentare, ovvero lo scarto intenzionale di prodotti commestibili da parte di aziende e privati, è aumentato del 50%.

All'interno dell'Unione Europa la quota di cibo sprecato raggiunge le 88 milioni di tonnellate annuali, ovvero 173 kg pro-capite, i cui costi si aggirano intorno ai 143 miliardi di euro.

L'Italia contribuisce a questa enorme cifra con le sue 5 milioni di tonnellate buttate nel cestino nel 2020, per un valore di circa 9,7 miliardi di euro di cui solo 6 miliardi e 403 milioni di spreco alimentare domestico e oltre 3,2 miliardi di euro, invece, di perdite in campo e spreco nel commercio e nella distribuzione. Tuttavia, questi dati, contenuti nel report di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability (su rilevazione Ipsos), rivelano un notevole cambiamento di mentalità nei confronti del cibo suscitato da questo anno di pandemia da Covid-19. Il periodo di lockdown ha portato i cittadini ad una maggiore consapevolezza riguardo il suo valore: rispetto al 2019, lo spreco alimentare in Italia ha registrato un calo di quasi il 12% (3,6 kg) tra le mura domestiche con all'attivo uno spreco di cibo a testa di 'soli' 27 kg (529 grammi a settimana). Ciò si traduce in 222125 tonnellate di cibo 'salvato' e un risparmio di 6 euro pro capite, ovvero 376 milioni di euro a livello nazionale, in un intero anno.

In particolare, a livello nazionale, il 32% del cibo buttato si perde nella fase di produzione agricola, il 22% si spreca nelle fasi successive alla raccolta e nello stoccaggio, un altro 22% è rappresentato dallo spreco domestico, il 13% si spreca nella ristorazione e nella distribuzione e l'11% si perde durante la lavorazione industriale.

Un recente provvedimento da considerare come passo in avanti riguarda l'introduzione della legge 166/16, o “Legge Gadda” del 2016. Questa prevede la riduzione di cibo buttato lungo la catena della produzione e della distribuzione, semplificando la struttura normativa e favorendo il recupero e la donazione dei prodotti in eccedenza. Questa norma contro lo spreco alimentare rende l'Italia  un Paese all’avanguardia in Europa e nel mondo, sostiene Marco Lucchini - Segretario Generale Fondazione Banco Alimentare Onlus. Lucchini la descrive come un provvedimento che riorganizza il quadro normativo di riferimento che regola le donazioni degli alimenti invenduti con misure di semplificazione, armonizzazione e incentivazione; ma soprattutto stabilisce la priorità del recupero di cibo da donare alle persone più povere del nostro Paese.


Food Sustainability Index

Il Food Sustainability Index è l’indice sviluppato dall’Economist Intelligence Unit in collaborazione con il Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN), che nel 2018 ha raccolto i dati di 67 paesi di tutto il mondo. Si basa su tre pilastri fondamentali, ovvero sfide nutrizionali, agricoltura sostenibile e lotta contro sprechi e perdite di cibo, ed è uno strumento in grado di mettere in luce i passi fatti in avanti verso un sistema alimentare più sostenibile. Inoltre, gli indicatori analizzati dal FSI sottolineano la stretta connessione che la sostenibilità alimentare ha con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi per combattere il cambiamento climatico e accelerare il passaggio a un futuro a basse emissioni di carbonio.

In generale, l'Italia si posiziona al 23° posto su i 35 paesi a elevato reddito pro-capite analizzati, con un indice di 68,1 su 100, dove 100 corrisponde alla massima sostenibilità e ai maggiori progressi fatti verso il raggiungimento degli obiettivi in campo ambientale, sociale ed economico misurati dagli indicatori chiave di prestazione. Guardando invece alla classifica relativa alle perdite e agli sprechi alimentari, la posizione sale al 18° posto con un punteggio di 70,6 , ossia 1,1 punto sopra la media dei paesi considerati.


Lo stretto legame tra spreco alimentare e inquinamento

Il settore alimentare rappresenta il 30% del consumo totale di energia, ed è responsabile del 22% delle emissioni di gas serra. Assume quindi un impatto ambientale significativo sin dalle fasi di produzione (agricoltura e settore agro-alimentare) che deriva soprattutto dall’energia consumata per la produzione di cibo e dalla generazione di rifiuti.

Perciò, uno sbaglio da non commettere riguarda l'incasellamento dello spreco alimentare in uno spazio a sé stante, quando questo è estremamente interconnesso ad altri problemi ambientali attuali. Infatti, esso è responsabile del 10% delle emissioni di gas serra - i principali responsabili del riscaldamento globale - a livello mondiale, subito dopo a Stati Uniti e Cina: ogni tonnellata di rifiuti alimentari produce 4,2 tonnellate di CO2, secondo Ener2Crowd.

Solo all'interno dell'Unione Europea, la produzione e lo smaltimento delle 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari causa l'emissione di 170 milioni di tonnellate di CO2 e consuma 261 milioni di tonnellate di risorse. Invece, le quote italiane raggiungono le 24,5 milioni di tonnellate di biossido di carbonio sprigionate in atmosfera: 14,3 milioni di tonnellate di CO2 sono associate al cibo sprecato dai consumatori e 10,2 milioni di tonnellate sono legate alle perdite lungo la filiera alimentare, contando anche che il 20% di questi gas serra è legato al settore trasporti.

Tutto ciò è interconnesso alla riduzione della capacità delle risorse naturali di provvedere alla produzione alimentare, amplificata da fenomeni di degradazione dei suoli, dall’inaridimento dei terreni, dall’utilizzo non sostenibile dell’acqua, dall’eccessivo sfruttamento della pesca e dal degrado dell’ambiente marino. Perciò, la lotta allo spreco alimentare non è solamente un problema legato al cibo, ma include azioni necessarie alla salvaguardia delle risorse idriche, ittiche, forestali e del suolo. Infatti, con il cibo sprecato bisogna ricordare che vengono gettate via anche risorse come acqua, fertilizzanti, suolo, fonti energetiche di ogni tipo e combustibili fossili; a tutto ciò si aggiungono le risorse economiche e umane. In più, l'intero ciclo alimentare ha un forte impatto su diversi fattori: distruzione dello strato di ozono, emissioni di particelle fini, esaurimento e inquinamento delle risorse idriche e del suolo, e perdita della biodiversità.


Obiettivo 12: Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo

Le Nazioni Unite hanno fissato 17 Sustainable Development Goals da raggiungere entro il 2030. Uno di questi, il numero 12, mira a garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo, e a ridurre lo spreco alimentare.

La sostenibilità correlata al consumo e alla produzione si traduce in una maggiore efficienza delle risorse e dell'energia, in infrastrutture sostenibili, così come nella garanzia di un accesso universale ai servizi di base, a lavori dignitosi e rispettosi dell’ambiente e a una migliore qualità di vita per tutti. La costruzione di un futuro con un'ottica sostenibile parte dalla realizzazione di piani di sviluppo complessi che portano verso la riduzione dei futuri costi economici, ambientali e sociali, incrementando anche una migliore competitività economica e diminuendo la povertà.

La filosofia alla base di questo cambiamento incentiva a “fare di più e meglio con meno”, in modo tale da aumentare i benefici in termini di benessere tratti dalle attività economiche, attraverso la riduzione dell’impiego di risorse, del degrado e dell’inquinamento nell’intero ciclo produttivo, migliorando così la qualità della vita. Queste azioni coinvolgono differenti personaggi, tra cui imprese, consumatori, politici, ricercatori, scienziati, mezzi di comunicazione e agenzie di cooperazione allo sviluppo. Ragion per cui è estremamente essenziale un approccio sistematico e cooperativo tra tutti i soggetti interessati, dal produttore fino al consumatore, anche attraverso campagne di sensibilizzazione al consumo e a stili di vita sostenibili. Tutto ciò senza dimenticare che ci sono dei cambiamenti imprescindibili da apportare alla società: investimenti in infrastrutture di trasporto e migliori strutture di stoccaggio e nella formazione degli agricoltori sulle migliori pratiche per la raccolta e lo stoccaggio delle colture. Inoltre, bisogna implementare le iniziative già in corso d'opera, come il miglioramento dell’etichettatura dei prodotti alimentari, programmi di sensibilizzazione nelle scuole e il recupero, con annessa redistribuzione, delle eccedenze alimentari.

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