L’acqua a Wall Street: da diritto universale a bene commerciale
DI GIORGIA SCOGNAMIGLIO
19/03/2021
È stata definita “oro blu” per la sua preziosità, ma non è più solo un modo di dire. Con l’attenzione dei media tutta spostata sulla pandemia da Covid-19, la notizia della quotazione in Borsa dell’acqua, al pari delle altre materie prime, è passata del tutto inosservata. L’ingresso a Wall Street cerca di affrontare il problema della scarsità dell’acqua e di prevenire un’emergenza idrica planetaria, mettendo a rischio, tuttavia, l’accesso equo a una risorsa fondamentale per la sopravvivenza.
Disponibilità idrica e consumo: il crescente divario tra domanda e offerta
Negli ultimi settant’anni, a parità di disponibilità idrica, la popolazione mondiale è triplicata e il consumo di acqua è aumentato di ben 6 volte per effetto dello sviluppo industriale, per poi stabilizzarsi, avanzando allo stesso ritmo della crescita demografica. Nel frattempo, però, la disponibilità di acqua va riducendosi, rendendo l’equilibrio tra domanda e offerta sempre più precario. La scarsità non è dovuta solo a ragioni fisiche e geologiche (condizioni climatiche, siccità, morfologia del territorio) ma anche e soprattutto a fattori di carattere antropico (urbanizzazione, crescita demografica, situazione geopolitica, attività economiche, spreco e inquinamento). Infatti, solo il 2,8% della quantità totale di acqua sul pianeta è dolce e solo lo 0,3% proviene da falde accessibili o da acque di superficie. Dell’acqua dolce disponibile, a livello planetario, viene utilizzato poco più del 50%, (di cui 2/3 in agricoltura a causa dell’aumento dei consumi alimentari e della scarsa diffusione di tecnologie di irrigazione moderne) anche se, secondo le previsioni, entro il 2030 si potrebbe raggiungere il 70% solo in virtù della crescita demografica e il 90% se il consumo pro-capite dovesse raggiungere ovunque i livelli dei paesi più avanzati.
Di quanta acqua abbiamo bisogno?
Secondo FAO e IFPRI (International Food Policy Research Institute) il fabbisogno minimo di acqua giornaliero è di 50 litri pro capite per uso domestico (cucina, igiene personale, servizi igienici) e 100 litri pro capite se si tiene conto delle altre attività fondamentali che richiedono l’utilizzo di acqua, quali agricoltura, industria e tutela dell’ambiente. Tuttavia, le statistiche dimostrano che se fosse distribuita in maniera equa sul pianeta, ce ne sarebbe a sufficienza per tutti. Ma così non è. La disponibilità di acqua pro-capite varia enormemente da regione a regione: si passa dai 500 metri cubi (m.c) del Nord Africa ai 50.000 m.c dell’Australia; meno di 10 paesi (Brasile, Russia, Cina, Canada, Indonesia, USA, India, Colombia, Zaire) si dividono il 60% delle risorse idriche naturali, mentre in paesi come Kuwait e Bahrein l’acqua è praticamente quasi inesistente. Alle differenze spaziali, si aggiungono problemi legati alla stagionalità, poi aggravati dai cambiamenti climatici: in alcune zone del mondo, le precipitazioni si concentrano in brevi o brevissimi periodi, alternati a cicli di siccità che rendono quindi necessaria una regolamentazione e razionalizzazione del suo utilizzo.
Non solo disponibilità: l’accesso alle risorse idriche
Quando si parla di risorse idriche non si può fare riferimento solo alla disponibilità, ma occorre tener conto anche dell’accessibilità, ovvero della capacità e possibilità di accedere e fruire effettivamente delle risorse idriche, questione strettamente connessa alla situazione infrastrutturale locale, ma anche alle diseguaglianze socioeconomiche.
✔ Il 40% della popolazione mondiale deve prelevare l’acqua fuori dalla propria casa, spostandosi anche diversi chilometri;
✔ il 50% delle persone che abitano nei Paesi in via di sviluppo è affetto da malattie legate all’inquinamento delle fonti idriche;
✔ in molti paesi la distribuzione dell’acqua riflette la distribuzione della ricchezza: i poveri vi accedono più difficilmente e pagano un prezzo più alto. Secondo alcuni studi, gli abitanti di una baraccopoli in un Paese del Sud del mondo pagano 5 o 10 volte di più rispetto a chi risiede nelle zone ad alto reddito della stessa città e di più rispetto a chi risiede nelle baraccopoli di Londra o New York.
La necessità di regolamentare le risorse idriche: la logica economicistica
«Se, nei prossimi dieci o quindici anni, non verrà concertata nessuna azione volta a garantire la fornitura dell’acqua in un quadro mondiale efficace di regolamentazione politica, economica, giuridica e socioculturale, il suo dominio provocherà innumerevoli conflitti territoriali e condurrà a rovinose battaglie economiche, industriali e commerciali.» - Riccardo Petrella, consigliere alla Commissione Europea e promotore del Contratto Mondiale dell’Acqua e del Manifesto dell’Acqua.
Il valore crescente dell’acqua - dovuto in gran parte alle preoccupazioni circa la sua quantità e qualità – la sta avvicinando sempre di più al petrolio e ad altre risorse strategiche. Il suo controllo può diventare uno strumento di dominazione politico-economica e contribuire all’emergere di conflitti nazionali e/o internazionali, dovuti ad esempio allo sfruttamento unilaterale delle fonti, all’utilizzo inappropriato (inquinamento, costruzione di dighe) o all’iniquità nell’accesso tra gruppi sociali. Il discorso vale soprattutto per i paesi con sistemi idrici transnazionali come in Medio Oriente, Nord Africa e Sud-est Asiatico, dove l’approvvigionamento idrico dipende da fonti comuni. Il primo a lanciare l’allarme, era stato nel 2002 l’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che aveva definito l’accesso alle risorse idriche tra le cause delle guerre del 21° secolo.
Molti esperti individuano come soluzione - alla scarsità e cattiva distribuzione dell’acqua - la sua mercificazione, ovvero la regolamentazione del bene lasciata nelle mani magiche del mercato libero, in grado di allineare autonomamente domanda e offerta. È la cosiddetta “logica economicistica”, introdotta nella Conferenza di Dublino dell’ONU nel 1992, in cui emergeva proprio il principio dell’acqua avente valore economico in funzione della sua scarsità. Attualmente, nel mondo il 5% dei servizi idrici è in mano ai privati, cui si sommano le forme di partenariato pubblico-privato.
Uno dei paesi ad aver consegnato l’acqua al mercato è stato il Cile, dove da oltre 30 anni è in vigore il Codice idrico, richiamato nella Costituzione, in particolare nell’art. 24 che recita: «I diritti delle persone sull’acqua, riconosciuti o costituiti in conformità con la legge, concederanno ai loro detentori la proprietà su di essa». Una legislazione unica al mondo che ha consegnato esplicitamente il godimento del diritto all’acqua alla proprietà privata, consentendo la vendita dei servizi idrici e sanitari fino ad allora gestiti dalle società pubbliche ai privati e l’82% dell’acqua dolce nelle mani delle multinazionali (tra le quali l’italiana Enel). Ciò ha migliorato l’efficienza, ma ha determinato inevitabilmente alti livelli di iniquità. Infatti, ci sono aree del Paese in cui le compagnie hanno letteralmente prosciugato le fonti di approvvigionamento, lasciando “a secco” la popolazione.
Mercificazione e diritto universale all’acqua
La logica economicistica si scontra con il principio di equità e con l’idea dell’acqua come diritto universale, posizione che ha portato nel 1998 alla stesura del Manifesto dell’Acqua: il diritto alla vita. Diverse sono le organizzazioni internazionali che, nel tempo, si sono schierate a sostegno del diritto all’acqua come bene comune e privo di surrogati (quindi insostituibile), fondamentale non solo per la sopravvivenza, ma anche per lo sviluppo in quanto la sua assenza ostacola l’agricoltura, il turismo, la vita domestica e urbana. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 28 luglio 2010, ha incluso l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico sanitari tra i “diritti umani universali e fondamentali”. Nonostante ciò, un vero e proprio diritto all’acqua non è mai stato formulato giuridicamente, sia in qualità di diritto individuale, rivendicabile da ogni cittadino nei confronti delle autorità, sia come diritto collettivo, invocabile nell’ambito della sfera internazionale.
Si tratta di una grave lacuna che andrebbe rapidamente colmata, come da circa un decennio reclamano movimenti e associazioni nazionali e internazionali, e che ha consentito – nel silenzio generale di dicembre - la quotazione in Borsa dell’acqua, accanto all’oro, al petrolio e ad altre materie prime scambiate a Wall Street. Questo significa che il prezzo dell’acqua, come quello di altre materie prime, oscillerà e quindi potrà essere oggetto di investimenti e, purtroppo, di speculazioni più o meno legali. A lanciare il primo contratto in California è stata la Cme Group, una società attiva nello scambio di future e derivati, che impiegherà il Nasdaq Veles California Water Index, un indice che determina il prezzo dell’acqua nello stato americano. L’8 dicembre, per esempio, il Nasdaq Veles California Water Index quotava l’acqua a 486,53$ per piede acro, una misura di volume comunemente usata negli Stati Uniti equivalente a 1.233 metri cubi. Secondo i sostenitori, la misura consentirà alle aziende agricole e imprese industriali di proteggersi dai rischi economici legati alle carenze idriche.
È tuttavia un approccio semplicistico al problema, che riduce un bene primario e vitale come l’acqua a puro bene commerciale, senza tener conto delle implicazioni che una manovra del genere avrebbe sull’accesso ad essa da parte di tutti, anche di chi non ha le disponibilità economiche per sostenere i costi imposti dal mercato. Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto umano all’acqua, Pedro Arrojo-Agudo ha infatti espresso grande preoccupazione per la notizia.
«L’acqua è già minacciata da una popolazione in crescita, da una domanda in aumento e da un grave inquinamento da agricoltura e industria mineraria nel contesto del peggioramento dell’impatto del cambiamento climatico. Sono molto preoccupato che l’acqua venga ora trattata come oro, petrolio e altre materie prime che vengono scambiate sul mercato dei futures di Wall Street […] L’acqua è sì una risorsa vitale per l’economia ma il valore dell’acqua è più di questo. Appartiene a tutti ed è un bene pubblico, strettamente legato alle nostre vite e ai mezzi di sussistenza ed è una componente essenziale per la salute pubblica […] il rischio è che i grandi attori agricoli e industriali e le grandi utility siano quelli che possono acquistare, emarginare e influenzare il settore vulnerabile dell’economia come i piccoli agricoltori […] L’acqua ha un valore sociale che la logica del mercato non riconosce e quindi non può gestire adeguatamente, figuriamoci in uno spazio finanziario così incline alla speculazione».