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Obiettivo Afghanistan, mettiamolo a fuoco

DI AGNESE ZOPPELLI

28/05/2020

Le fotografie non sono tutte uguali: esistono quelle scattate con la macchina fotografica ed esistono quelle scattate tramite le parole, usando un foglio e una penna. Ripercorriamo le tappe della storia di un paese che dal 1979 non ha mai smesso di occupare la scena internazionale: l’Afghanistan.

Il soggetto

Parlando d’Afghanistan, quello che sicuramente viene in mente  sono gli occhi di Sharbat Gula, anche detta “la Ragazza afghana”. L’immagine che la ritrae è la foto più conosciuta del Novecento, pubblicata dal National Geographic nel 1985, scattata nel 1984. Il suo autore è altrettanto noto: Steve McCurry.  Occhi verdi, sguardo fisso, mantello color ruggine. Polvere e terra le sporcano il volto, ma una certa curiosità verso lo straniero che la fotografa le fanno dimenticare la difficile situazione che è costretta a vivere.

Ci troviamo nel campo profughi di Nasir Bagh, in Pakistan, ma il nostro viaggio fotografico non parte da qui.

Zoom storico

Il motivo per il quale una giovane appena dodicenne si trovasse lì risale al 1979, data dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Qualche anno prima il paese si era proclamato Repubblica democratica ed era governato da due fazioni, una filosovietica e l’altra filocinese . Due anni dopo l’URSS  occupa la zona: le conseguenze di questo gesto accendono ancora oggi gli animi di chi ne è rimasto coinvolto. L’Afghanistan era divenuto uno scomodo alleato, per questo fu il motivo della scelta sovietica. Nel paese i comunisti Afghani avevano preso il potere con un colpo di stato ed erano diventati incontrollabili. Il regime instauratosi con a capo Amin era inaffidabile e destabilizzante: l’URSS doveva intervenire.

Anche se la guerra si è conclusa ormai da una trentina d’anni, essa ha lasciato in eredità un groviglio confuso di attori interni ed esterni che riempiono e complicano tuttora la scena internazionale. Primi fra tutti i Talebani o “Taliban”, studenti impegnati nella guerriglia antisovietica e appartenenti alle scuole coraniche finanziate dall’Arabia Saudita. Ad oggi, non formano un corpo monolitico ma diversi centri di potere con un comune obiettivo: l’eliminazione di qualsiasi corrente esterna. Arrivati al potere intorno al 1996, imposero un durissimo regime teocratico, restando al potere fino al 2001, anno dell’invasione americana dell’Afghanistan. Hanno poi riconquistato la scena nel 2015 e da quel momento sono in perenne conflitto con il governo nazionale.  Da dove derivano i finanziamenti per compiere attentati che mettono a ferro e fuoco la regione, in un paese dove 2 milioni di abitanti vivono al di sotto della soglia di povertà? La risposta è semplice: enormi distese di campi coltivati ad oppiacei. Il ricavato ottenuto dal commercio di questo prodotto riesce a soddisfare le necessità di questo gruppo armato.

L’Occidente e la comunità internazionale non agiscono? Si e no, giustificati dal fatto che una riconversione dei campi, più volte pensata da Washington, significherebbe togliere una delle uniche fonti di sostentamento dei contadini e della popolazione afghana. Una vera e propria lama a doppio taglio.

Focus sulle trattative di pace

Ad oggi la situazione è la seguente: si è da poco conclusa una guerra durata ben 18 anni tra Afghanistan e Stati Uniti. Grazie all’accordo firmato a Doha il 29 febbraio 2020 (“Agreement for bringing peace to Afghanistan”), le truppe di Washington dovrebbero ritirarsi entro 14 mesi in cambio dell’impegno talebano a non stringere accordi o sostenere le iniziative jihadiste nel Paese. In aggiunta a questo, i Taliban si sono impegnati a non attaccare le truppe statunitensi ancora presenti. Un accordo a tutto tondo sembra però ancora lungi dall’essere trovato: non viene citata la sospensione delle ostilità verso il governo afghano, inoltre i taliban e il governo nazionale sono da sempre in disaccordo per quanto riguarda lo scambio di prigionieri. Le ostilità si fermerebbero se l’amministrazione Ghani facesse rilasciare 5000 prigionieri afghani in cambio di prigionieri del governo: fino ad ora ne sono stati liberati solo 1500, non abbastanza per fermare turbolenze e attacchi. A questa situazione già in bilico si aggiunge una nuova minaccia: la presenza dello Stato Islamico, stanziato nella regione del Khorasan. IS ha rivendicato qualche giorno fa l’attentato terroristico durante il funerale di un comandante delle forze filogovernative, ma non quello del 12 maggio 2020 nel reparto maternità di Kabul. Un attentato, quest’ultimo, che ha causato sgomento e lasciato senza parole perfino i responsabili, tanto che nessuno ancora l'ha rivendicato. Le vittime sono due neonati e altre quindici persone tra madri e infermieri. Sharbat Gula, anche se non coinvolta in questo episodio di efferata violenza, è madre di tre figlie, come Steve McCurry racconta nel libro di Gianni Riotta per Mondadori. Come tante altre donne è  preoccupata per il futuro difficile delle sue bambine, segnato dalla mancanza di cure pediatriche e senza accesso a scuola.

Riavvolgendo il rullino

L’Afghanistan si rivela un territorio strategico da tempo: da un lato è collocato geograficamente in funzione anti cinese e satellite spia americano, dall’altro il suo ruolo nel nascondere e aiutare i movimenti fondamentalisti  dall’inizio del millennio si è rivelato, ancora una volta, l’altra faccia della medaglia. L’esempio chiave è quello che risale al 7 ottobre 2001, giorno dell’inizio dei bombardamenti americani su suolo afghano, iniziati dopo il rifiuto del regime talebano di espellere Osama Bin Laden, lì rifugiatosi dopo l’attentato dell’ 11 settembre.

Immortalare l’attualità

Quello che sta succedendo negli ultimi giorni può essere visto come il risultato del difficile momento storico di cui  siamo testimoni. Il 17 maggio 2020 il governo ha firmato un accordo per la  condivisione del potere tra il presidente Ashraf Ghani e il presidente dell’alto consiglio per la riconciliazione nazionale Abdullah Abdullah, con la speranza di fermare gli attacchi dei talebani, numerosi nonostante l’accordo di Doha. La crisi Covid-19 non ha certo aiutato, al contrario ha infuocato gli animi e ha dato possibilità alle frange estremiste di guadagnare consensi e consolidarsi. Nel caso afghano ha dato possibilità ai Taliban, sempre molto forti dal punto di vista comunicativo, di coinvolgere la popolazione delusa da un governo inefficiente, inefficace e debole. Come la Cina ha utilizzato la “Diplomazia delle mascherine “ per aumentare la sua soft power e costruire quella che viene detta “la nuova via della seta sanitaria”, i Talebani, pur non possedendone i mezzi, si sono resi portavoce di aiuti sanitari, facendo credere di essere in grado di garantirli, ma la realtà dei fatti è ben diversa.

Oggi Sharbat Gula è una donna con un passato travagliato e un futuro incerto, l’ultima fotografia che la ritrae risale all’aprile 2002, venne pubblicata sul National Geographic dopo che il fotografo riuscì a ritrovarla. Il numero si intitola “Found”.

Quello che colpisce è lo sguardo, uguale ad allora,  stupito e meravigliato nel vedere come la sua ormai stanca figura riuscisse ancora ad attirare così tanta attenzione.

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