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La situazione in Afghanistan, oggi

DI GIANMARCO VILLANI

03/11/2022

È passato più di un anno da quando tutte le principali fonti di informazione hanno diffuso le immagini dell’esercito statunitense che lasciava l’Afghanistan dopo vent’anni di operazioni militari e presenza sul territorio. I talebani sono tornati, l’Afghanistan è di nuovo un Emirato Islamico, e ora che la polvere si è posata possiamo analizzare la situazione attuale.

Dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, la maggior parte delle notizie che ci pervenivano dall’Afghanistan arrivavano dalle conferenze stampa dei nuovi vertici del Governo. Appena insediatisi, i talebani hanno rilasciato varie dichiarazioni, anche in inglese, con l’intenzione di rassicurare gli osservatori internazionali. Hanno detto che non volevano crearsi nemici all’alba della creazione dell’Emirato Islamico in Afghanistan, che avrebbero “perdonato tutti”. Hanno promesso che le donne avrebbero potuto continuare a frequentare le scuole, le università, che avrebbero dovuto indossare l’hijabma non il burqa. L’immagine che si cercava di proiettare al di fuori dei confini era quella di un Paese che avrebbe seguito la sharia, ma non per questo sarebbe stato pericoloso o instabile. Ovviamente, questo lavoro di rebranding ad opera dei wahabiti serviva per lo più a presentarsi come un attore affidabile nel panorama internazionale, con cui poter stringere accordi politici, economici, commerciali.


A distanza di un anno, la situazione sembra essere andata in una direzione diversa da quella promessa dall’Emirato della prima ora, ma il quadro attuale era piuttosto prevedibile anche un anno fa. Le politiche sull’istruzione femminile sono confuse, spesso contraddittorie. Le università hanno riaperto l’accesso alle studentesse a partire da febbraio 2022, sebbene con strette regole sulle interazioni con i colleghi maschi, mentre la riapertura delle scuole secondarie femminili è stata ritardata in diverse regioni. Secondo alcuni ufficiali del governo, le scuole che avevano già implementato le norme talebane sull’abbigliamento e la separazione di genere, come quelle di Mazar-e Sharif, avrebbero chiuso solo per qualche giorno per evitare incidenti durante l’assedio della città, per poi riaprire e proseguire le attività normalmente, mentre in altre regioni il passaggio da un sistema all’altro sarebbe stato più problematico e avrebbe richiesto più tempo. A maggio 2022, il governo ha poi emesso un comunicato in cui vietava alle donne di uscire di casa, se non per gravi emergenze (quindi escludendo a priori l’accesso all’educazione) e imponeva di coprire il volto, pena la punizione dei più vicini parenti maschi.


La valle del Panjshir è stata l’ultima a cadere sotto il controllo dei talebani. La regione è storicamente nota per essere difficile da penetrare, circondata da montagne che fanno da barriera naturale: gli abitanti, di etnia prevalentemente tagika e di lingua Dari, hanno sempre opposto una forte resistenza a chi cercava di entrare. In Panjshir è nato anche Ahmad Shah Massud, noto come il “Leone del Panjshir”, che ha combattuto contro l’occupazione sovietica e si è opposto al regime dei talebani salendo al potere a seguito del colpo di Stato del 1973, e il figlio Ahmad, che ha ereditato la lotta del padre conducendo la resistenza nella regione nel 2021. Nonostante le operazioni di guerriglia e i tentativi di respingimento del Fronte Nazionale di Resistenza, guidato appunto dal figlio del Leone del Panjshir, anche la valle è caduta nelle mani dei wahabiti il 6 settembre 2021. A distanza di mesi, sono stati resi pubblici dei video che testimoniano alcune scene dei combattimenti nella regione. In uno, cinque uomini in ginocchio, ammanettati, alcuni bendati, vengono uccisi da una decina di colpi di kalashnikov sparati da un plotone di esecuzione. Questi video testimonierebbero che i talebani avrebbero condotto delle esecuzioni sommarie contro il Fronte Nazionale di Resistenza nelle zone montuose del Panjshir. Interrogati dalle agenzie di stampa internazionali, i portavoce del governo dicono di non riconoscere le persone o i luoghi ritratti nei vari video, ma comparandoli con altre immagini e con dati satellitari si riconosce la responsabilità dei talebani nelle esecuzioni sommarie di prigionieri del FNR.


Molti afghani hanno cercato di mettersi in fuga, anche ben dopo la partenza degli ultimi aerei di soccorso americani ed europei di agosto. Dall’inizio della crisi, 5.7 milioni di afghani si sono spostati in Paesi limitrofi, di cui 2.2 milioni hanno raggiunto il Pakistan e l’Iran. Gli sfollati interni che hanno lasciato le loro case per sfuggire al regime talebano senza riuscire a lasciare il Paese si stimano intorno ai 3.5 milioni, 800 mila dei quali solo nel 2021 e tra questi l’80% sono donne e bambini. I rifugiati afghani sono diventati una delle comunità più numerose tra quelle in cerca di asilo in un solo anno.

Nel frattempo, i talebani si sono trovati a combattere contro un nuovo nemico: la branca afghana dello Stato Islamico. L’ISKP ha iniziato a sabotare la legittimità del potere talebano dall’inizio dell’assedio. Il 26 agosto, l’aeroporto di Kabul era circondato da migliaia di persone che cercavano di entrare per riuscire ad imbarcarsi sul primo volo, quando un militante afghano di Daesh si è avvicinato all’Abbey Gate, centro importante delle operazioni di evacuazione, ed ha innescato la cintura esplosiva. Il bilancio dell’attentato kamikaze è arrivato a 182 vittime e oltre 200 feriti. Da allora, l’ISIS-K ha continuato a organizzare attentati terroristici, soprattutto nella provincia di Kabul, con obiettivi principalmente civili e governativi.


Il nuovo regime talebano sembra quindi avere vari problemi. Sul fronte della sicurezza interna, l’Afghanistan è minacciato dalla presenza dello Stato Islamico, che continua a destabilizzare le aree più centrali e importanti del Paese. È poi difficile guadagnare il consenso degli afghani, che preferirebbero invece lasciare il Paese o quantomeno provarci, peggiorando la crisi umanitaria della migrazione. Infine, dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, non sembra esserci alcuna intenzione di rispettare le posizioni che avevano annunciato appena dopo l’istaurazione dell’Emirato: i diritti delle donne sono stati uno dei primi obiettivi di attacco da parte del regime, nonostante le varie rassicurazioni e garanzie dei primi periodi.

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