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Il Diritto Internazionale a Gaza

DI ELEONORA SPINA

04/01/2024

"Sin dalle origini della questione Palestinese, il Diritto Internazionale è stato influenzato più dal potere che dalla giustizia" Michael Lynk

Nel mezzo del conflitto in corso a Gaza, la comunità internazionale e l’opinione pubblica mondiale si interrogano sull’utilità del diritto internazionale e umanitario, diritto che regola i conflitti armati, l’occupazione militare e il trattamento dei civili in tempo di guerra.

Nemmeno il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si sta dimostrando in grado di ricoprire il ruolo di garante di tali principi, risultando incapace di offrire una soluzione concreta alle ostilità e diviso dagli interessi dei singoli stati. Dopo quattro proposte fallimentari, la risoluzione approvata il 22 dicembre 2023 si limita a imporre l’arrivo di aiuti umanitari ai civili palestinesi a Gaza, senza tuttavia trovare una soluzione immediata ai bombardamenti sul territotorio.

Hanno quindi il Diritto Internazionale e l’ONU, l’organizzazione a capo della pace e sicurezza internazionali, un ruolo nei crimini di guerra attualmente in corso in Palestina?


Diritto a Gaza


Tre sono le branche di diritto che si applicano alla guerra tra Israele e Hamas: il diritto penale internazionale, il diritto umano internazionale e il diritto umanitario internazionale. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 e le nove principali convenzioni e trattati sui diritti umani adottati dalla comunità internazionale dal 1948, dettano i principi fondamentali che gli stati firmatari (quindi anche Israele) devono rispettare quando coinvolti in un conflitto.

Le fondamenta del diritto umanitario internazionale si basano principalmente sulla distinzione tra obiettivi militari e civili: non solo questi ultimi non possono essere bersaglio di guerra, ma le parti coinvolte devono assicurarsi della loro integrità e sicurezza. Ciò comporta l’utilizzo di armi capaci di distinguere gli obiettivi civili, la protezione di scuole, ospedali, luoghi di preghiera e il divieto di tortura e trattamento disumano degli ostaggi.

Il diritto internazionale pone inoltre degli obblighi in capo alle potenze occupanti un territorio, in questo caso quindi ad Israele. Il ritiro delle truppe di terra nel 2005, infatti, non ha comportato la fine dell’occupazione effettiva del territorio da parte israeliana, in quanto è persistito il controllo delle acque, dello spazio aereo, il movimento di persone e cose nella striscia di Gaza.

Nel rispetto del diritto umanitario internazionale è necessario quindi garantire i bisogni basici della popolazione civile dei territori occupati. Privare una popolazione delle sue necessità primarie, distruggendo o negando l’accesso a beni alimentari, all’acqua potabile, al carburante e all’elettricità sono proibiti, così come forzare il dislocamento dei civili dal territorio, permesso solo per salvaguardarne la sicurezza o per emergenze militari. In ogni caso, se permanente, esso comporta una violazione del diritto internazionale dei conflitti armati.

La violazione di uno di questi principi per la protezione dei civili comporta l’esistenza di un crimine di guerra, o se sistemica ed estesa, un crimine contro l’umanità.


Le denunce


Israele è accusato di attuare nei confronti dei palestinesi una punzione collettiva nei confronti della popolazione palestinese, tagliando acqua, cibo, elettricità e carburante al territorio palestinese, annoverabile come crimine di guerra, come anche il bloccare l’arrivo di beni e aiuti umanitari alla popolazione.

Secondo un rapporto pubblicato da 23 agenzie ONU e umanitarie, l’intera popolazione di Gaza è in crisi alimentare e 576.600 persone soffrono una fame “catastrofica”. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, dall’inizio della guerra sono stati uccisi più di 20.000 palestinesi, di cui si stima che il 70% siano donne e bambini.  Le stesse Nazioni Unite, però, ritengono che altre migliaia di palestinesi siano rimaste sepolte sotto le macerie.

Particolare attenzione è stata rivolta inoltre ai report dell’intelligence militare israeliana e alle dichiarazioni di diversi leader politici e militari che cercano di forzare il dislocamento di palestinesi nella penisola del Sinai e in Egitto e che se implementati, risulterebbero un crimine di guerra.

La corte penale internazionale, che ha giurisdizione sui crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale, ha intrapreso nel 2021 un’indagine circa i crimini commessi in Palestina. Il suo intervento sembra ad ora l’unica via possibile data l'impunità di Israele rispetto al mancato adempimento delle risoluzioni del consiglio di sicurezza.


Il ruolo dell’ONU


Da 75 anni Israele gode di impunità all’interno della comunità internazionale: 69 sono le risoluzioni adottate dall’ONU in merito alla questione Palestinese, famosa la risoluzione 242 che nel 1967 obbligava Israele a ritirarsi dai territori occupati e mai rispettata. Nonostante ciò non sono mai state inflitte delle sanzioni.

Oggi la debolezza delle Nazioni Unite non ha precedenti, come sostiene anche la relatrice delle Nazioni Unite in Palestina Francesca Albanese “l’organizzazione non riesce a prendere decisioni politiche”.

Dal 7 ottobre sono stati 4 i progetti di risoluzione falliti in seno al Consiglio di Sicurezza, organo con potere coercitivo a carattere vincolante. L’evidente impotenza dimostrata dal Consiglio è sicuramente dovuta alle sue divisioni interne, con gli Stati Uniti a favore di Israele da un lato e Russia e Cina dall’altro, che hanno creato una sorta di veto incrociato, bloccando ogni tipo di soluzione alla crisi umanitaria in corso.

La risoluzione approvata il 22 dicembre con l’astensione di USA e Russia dimostra infatti la totale assenza di un fronte comune e non rispetta le promesse iniziali di una “sospensione urgente delle ostilità”. Lo stesso segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres spera che la risoluzione favorisca l’arrivo di aiuti ai civili a Gaza, ma crede che “solo un cessate il fuoco umanitario sia l’unico modo per venire incontro alla popolazione e porre fine al loro incubo”.

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