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Le influenze del trauma yemenita: tensioni regionali e interessi globali

DI LIDIA GAROFALO

17/01/2024

L’attacco missilistico del 12 gennaio mosso dalla coalizione capeggiata da Stati Uniti e Regno Unito, di cui fanno parte anche Australia, Canada, Danimarca, Germania, Bahrein, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Paesi Bassi, ha avuto come obiettivo sedici luoghi sotto l’autorità Houthi.
La ragione di quest’offensiva, volta a ripristinare la deterrenza, è da ricercarsi a primo acchito negli assalti a navi commerciali e cargo nel Mar Rosso da parte del gruppo armato sciita zaidita, inaugurati nell’ottobre dello scorso anno, col principale obiettivo di indirizzare l’opinione pubblica interna rispetto a questioni esterne alle aree sotto la loro supervisione.

CHOKE POINT

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, cresce la dipendenza europea dagli idrocarburi delle monarchie del Golfo, innanzitutto dal gas naturale liquefatto. Le vie marittime e gli stretti dell’Oceano Indiano occidentale rappresentano un ponte energetico-commerciale tra Europa e Asia con equilibri strategici messi a dura prova dalle tensioni politiche tra potenze regionali e da ingerenze esterne.

Uno dei punti più nevralgici per l’economia mondiale, fortemente interdipendente da un punto di vista geostrategico a quello di Hormuz, è lo stretto di Bab el-Mandeb, il quale collega il Golfo di Aden e quindi l’Oceano Indiano al Mar Rosso. Da qui, risalendo il Canale di Suez si arriva al Mar Mediterraneo e successivamente ai porti europei.

The Economist stima che attraverso lo Stretto di Bab el-Mandeb transiti oltre il 12% del traffico marittimo mondiale. Il volume del transito energetico, in crescita da un decennio, è di 6,2 milioni di barili al giorno di greggio e raffinati petroliferi, pari al 9% di tutto il petrolio commerciato via mare. Di questi, 3,6 milioni (il 58%) sono diretti in Europa.

Sul piano regionale e globale, la sicurezza marittima dell’area è ancora più prioritaria adesso che episodi di warfare asimmetrico si verificano con frequenza tra Golfo dell’Oman, Mar Arabico e Mar Rosso, da parte dell’Iran e degli attori armati non-statali a esso collegati. L’eventualità di un blocco avrebbe quindi, ripercussioni notevoli per quanto riguarda le spese di trasporto della mercanzia poiché costringerebbe le navi a circumnavigare l’Africa, con conseguente eliminazione della centralità del Mare Nostrum. Gli effetti sarebbero una sensibile dilatazione dei tempi di consegna e pertanto un aumento del costo di beni come il petrolio per i consumatori di paesi dell’area mediterranea, come ad esempio l’Italia. Ciononostante quest’ultima non ha preso parte all’offensiva e al contrario di quanto si possa pensare non si ha a che fare nemmeno con un’operazione Prosperity Guardian (coalizione volta a sorvegliare il regolare andamento del commercio nel Mar Rosso).

GLI ATTORI DEL CONFLITTO

Il panorama politico-militare yemenita è tremendamente frammentato all’interno e ciò non ha fatto altro che agevolare il consolidamento delle identità locali. Questo fenomeno si inserisce all’interno di una parallela delegittimazione di presidente e governo, i quali risultano pressoché impotenti sul piano autoritario in quanto incapaci allo stato attuale di provvedere a garanzie come servizi e sicurezza.

In queste annose circostanze la milizia di Sa’da, Ansar Allah, è insorta all’inizio degli anni Novanta.

Il movimento a larga maggioranza di confessione zaydita (microbranca dell’Islam sciita) è apertamente anti-USA, in particolar modo a seguito dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003, e profondamente filo-iraniano. Dallo status di rivoltosi, gli Houthi sono passati ad un governo de facto nel nord del paese con l’ausilio di oppressione, brutalità e anti-sauditismo, pratiche largamente appoggiate tramite investimenti finanziari e militari significativi dall’expertise iraniana. Tehran difatti controlla da dieci anni la capitale Sana’a e ampie regioni strategiche dello Yemen, assai utili anche agli sviluppi a sfavore della coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita (della quale fanno parte Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Senegal e Sudan), la quale riconosce e sostiene il governo yemenita internazionalmente riconosciuto basti pensare all’intervento militare del 2015.

Nello stesso anno gli houthi hanno rafforzato i legami politico-militari con l’Iran e avviato una incessante campagna asimmetrica, con missili e droni, contro il territorio saudita. Il re Al Sa'ud sta cercando una via d’uscita politica dal conflitto, ritirando le truppe da postazioni strategiche a sud nel 2021, ma l’estrema debolezza del governo yemenita riconosciuto offre prospettive cupe.

Questa linea risolutiva è stata adottata anche dagli Emirati Arabi Uniti che nel 2019 hanno abbandonato lo Yemen in particolar modo a fronte del fatto che i costi della loro presenza erano diventati più alti dei benefici. Ciononostante gli EAU mantengono un ruolo partecipativo all’interno del conflitto tramite l’aiuto di una fitta rete di alleanze di cui fanno parte anche gli Stati Uniti. Questi ultimi hanno supportato Arabia Saudita ed Emirati Arabi attraverso fornitura di armi, intelligence e sostegno in raid. Human Rights Watch, un’organizzazione umanitaria statunitense, ha focalizzato la sua attenzione su 6 attacchi americani nello Yemen tra il 2009 e il 2013, almeno due dei quali su civili indistintamente. Nel 2021 il presidente Joe Biden ha nominato un inviato speciale per lo Yemen e ha annunciato la fine del sostegno americano alle operazioni offensive nel paese, a esclusione di quelle contro Al Qaeda.

L’espansionismo emiratino e saudita nel governatorato yemenita di al-Mahra, proprio al confine con l’Oman, turba il sultanato omanita che è sempre stato, finora, il regista incontrastato dell’area.

Il ruolo diplomatico omanita del mediatore informale cela quindi forti preoccupazioni di altra natura come del resto accade anche per la potenza pechinese, la quale necessita dell'equilibrio tra le parti del conflitto a causa dei suoi interessi economico-commerciali, siccome intorno alle coste e ai porti yemeniti passa la Via della Seta marittima, ergo Oceano Indiano, Mediterraneo e Mar Rosso.

Data la crescente interdipendenza fra gli ultimi due, lo Yemen può essere considerato il “confine sud” dello spazio d’interesse europeo. Il compito dell’UE in Yemen si è finora caratterizzato per l’accento sulla diplomazia umanitaria. La Gran Bretagna inoltre ha mantenuto una politica attiva, in virtù dei legami storici con il territorio a sud (Colonia di Aden, 1869-1963).

Il clima di per sé molto inquieto tra le parti è inasprito anche dall’avversione dell’Iran (pertanto anche degli Houthi) nei confronti di Israele, preoccupandosi di fornire sostegno finanziario e armamenti ai fondamentalisti di Hamas.

In conclusione, la guerra in Yemen rappresenta una crisi umanitaria devastante e complessa, caratterizzata da violenze prolungate, interferenze esterne e gravi sofferenze per la popolazione civile. Il conflitto richiede urgentemente una soluzione negoziata, sostenuta da un impegno internazionale concertato, garantendo l'accesso agli aiuti umanitari e avviando un processo di riconciliazione nazionale. Una vittoria militare di una delle parti è inverosimile data l’estensione temporale e territoriale del conflitto. Soltanto attraverso il dialogo diplomatico e il ritiro del sostegno esterno sarà possibile creare le basi per una pace sostenibile, consentendo al popolo yemenita di iniziare il difficile percorso verso la ripresa e la ricostruzione.

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