La scoperta delle minoranze musulmane cinesi – intervista a Francesca Rosati
ELEONORA RINALDI
30/03/2021
La nostra missione, volta a fornire un costante servizio di informazione e di approfondimento, accessibile a tutti, sulle vicende internazionali del nostro tempo, ha portato HIKMA ad indagare, nella passata Conferenza “Asia among perceptions, decolonization & discriminations”, la delicata situazione delle minoranze religiose islamiche all’interno della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Insieme all’esperta Francesca Rosati, dottoranda presso il Research center for Modern and Contemporary China, l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e l’Università di Leiden, abbiamo cercato di far luce sul perché queste minoranze siano così massicciamente oppresse e come la comunità internazionale abbia reagito a questo tentativo di annientamento identitario così abilmente perpetrato da Pechino.
La questione della discriminazione degli Uiguri e dell’etnia Hui Zu da parte della Repubblica Popolare cinese è stata portata all’attenzione dello scenario mondiale solo recentemente, e rimane comunque un tema che necessita un doveroso approfondimento per avere una migliore amplificazione all’interno dell’opinione pubblica. Iniziamo provando a dare una spiegazione diacronica a questo fenomeno, quando sono iniziate queste discriminazioni e perché?
“Cominciamo con il dire che la Cina è un Paese multietnico, in particolare, ci sono 56 gruppi riconosciuti, tra cui il maggioritario è il gruppo Han che costituisce circa il 94% della popolazione totale, parliamo di un miliardo e trecentomila persone. Il concetto di gruppi nazionali è entrato in auge quando si sono formati gli Stati-nazione all’inizio del ventesimo secolo, ed in particolare sul modello della classificazione etnica sovietica la Cina ha messo in piedi questo sistema di classificazione etnica, nel 1953, in piena epoca Maoista. Il Partito Comunista ha inviato degli etnografi e degli etnologi per fare una ricerca ed intervistare le varie minoranze cinesi. Durante la lunga marcia i rappresentanti del partito comunista si sono resi conto del potenziale che le minoranze rappresentavano, molte delle quali vivevano nelle aree rurali del Paese, che occupavano la maggior parte del territorio. La prima ricerca ha dato dei risultati stupefacenti poiché sono stati identificati ben 400 gruppi etnici. C’è stato, quindi, da parte del Partito un lavoro di fabbricazione dell’identità etnica che ha ridotto questi gruppi da 400 a 56. Bisogna tuttavia tenere conto che ci sono ancora migliaia di persone, poco meno di diecimila, che non sono ancora riconosciute etnicamente in Cina e questo le rende invisibili. L’identità etnica nella RPC è indicata nel documento di identità ed è fondamentale appartenere ad una identità etnica quando si intraprende ad esempio il percorso di studi universitario.
Di questi 56 gruppi etnici, 10 sono stati identificati come praticanti la religione musulmana. In base a questa classificazione etnica, l’Islam non è altro che una delle tante caratteristiche dell’identità di questi gruppi ed esiste accanto alle rispettive lingue e alle culture”, come suggeriva il modello di identificazione delle minoranze sovietico, fondato sui “4 principi di Stalin” (territorio comune, lingua comune, pensiero comune e cultura comune). “Questo sistema ha generato delle contraddizioni per la minoranza degli Hui, poiché mentre la maggior parte delle minoranze musulmane cinesi, come gli Uiguri, i Tagiki, i Kazakhi, gli Uzbechi, si concentrano nel Xin Jiang, una provincia cinese dove la mobilità e la possibilità di formare altre enclave sono particolarmente ridotte, gli Hui sono sparsi per tutto il Paese e non hanno un territorio comune, né delle tradizioni comuni. Un musulmano Hui del Gansu che vive alla piccola Mecca, dove ho fatto ricerca, sentirà molto di più la propria identità religiosa Sufi, mentre un musulmano cinese dell’isola di Hai Nan si sentirà molto più legato al Sud- Est Asiatico. D’altra parte un musulmano acculturato che ha solo memoria del fatto che i propri antenati siano stati musulmani, che mangia carne di maiale e che sacrifica offerte agli antenati sarà riconosciuto dal governo come Hui, ma non avrà un’identità musulmana in quanto praticante.
Tornando al perché queste minoranze siano oppresse, fino al 2017 l’attenzione data alla pratica dei musulmani Hui da parte dal Partito era minima. Essendo i musulmani cinesi commercianti per tradizione non sono stati dei ricettori passivi delle politiche del governo, al contrario, alcune élite musulmani hanno potuto godere di alcune politiche. Ad esempio, una conseguenza della strategia One Belt One Road è la museificazione della cultura locale. Il governo sta rendendo dei siti religiosi anche come siti turistici per attrarre un pubblico nazionale ed internazionale. L’idea di riscoprire il retaggio culturale delle minoranze è un’idea antica che risale almeno agli anni ’80 ma con il processo di Chinafication, si è acuita moltissimo e le élite Hui hanno approfittato di questa turisticizzazione a proprio vantaggio.” Alcuni si sono trasformati in guide turistiche facendo allo stesso tempo proselitismo e diffondendo la propria cultura in chiave etnico-turistica. “Questo è un esempio di come le minoranze si adeguino alle politiche del Partito”. La minoranza degli Hui in questo senso risulta essere privilegiata, poiché “gli Hui sono più liberi, parlano il cinese e si trovano in zone più interessanti dal punto di vista turistico.
Per quanto riguarda gli Uiguri la situazione è più complicata perché il Xin Jiang è stato annesso alla Cina molto tardi. Mentre gli Hui si identificano come i discendenti di commercianti o missionari, soldati che sono venuti in Cina dalla Persia, dall’Arabia e dall’Asia centrale a partire dal 14° secolo, gli Uiguri sono stati annessi nel tardo 1700 durante la dinastia Qing. Il processo di annessione non ha coinciso con una immediata colonizzazione perché la politica dei Qing, che erano Manciesi, aveva un approccio “tribale”, considerava la nazione una grande famiglia, lasciando a rappresentati locali di élite turcofone, l’amministrazione di questa provincia. La situazione è cambiata con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese del 1949. Per il Partito era diventato urgente annettere questo territorio di frontiera, che doveva essere costantemente riconquistarlo, ri-civilizzarlo e riportarlo verso il centro. Questo impegno si è tradotto concretamente con delle politiche di repressione dell’attività religiosa, con la chiusura di circoli di poesia e di canto maschili uiguri, considerati come dei potenziali covi di terrorismo. Recentemente, un’altra conseguenza della censura e della repressione culturale è la chiusura dei Mazar, importantissimi nella cultura popolare musulmano uigura, ovvero dei mausolei che ospitano le spoglie di santi Sufi e che hanno un grandissimo potenziale emotivo per le popolazioni locali.”
Francesca Rosati non parla di genocidio, ma di “genocidio culturale”, specificando che ad oggi non si hanno notizie di stermini di massa nei campi di rieducazione cinesi. “Il genocidio culturale che il Partito sta attuando potrebbe essere in previsione di una nuova politica, ossia quella di creare non più una società multietnica in cui la divisione etnica serve a sottolineare un rapporto gerarchico e paternalistico tra il gruppo dominante Han, il più civilizzato, e i gruppi etnici meno numerosi, visti come selvaggi, meno morali dal punto di vista sessuale e infantilizzati. Mi sembra che ci sia uno spostamento verso una politica più assimilatoria dove ci siano dei cittadini-consumatori che non si identifichino più nelle loro appartenenze culturali, soprattutto perché quelle islamiche inevitabilmente portano ad una condivisione dell’identità religiosa con la Umma e con la comunità internazionale. Un Islam che sorpassa i confini nazionali è visto come una minaccia per il Partito e per la fede nel Partito. Quando si domanda ad un cinese: “in che cosa credi?”, molti cinesi rispondono: “io credo nel Partito Comunista”, il che non significa che siano atei, ti stanno dicendo che c’è un approccio fideistico, il Partito è padre della patria è c’è un affidamento del cittadino a questa identità. Quello che vuole raggiungere il Partito è una omogeneizzazione, una lealtà che oltrepassi queste differenze di credo e questi regionalismi”.
Concentrandoci sul termine “genocidio”, il Canada, il secondo dopo gli Stati Uniti, ha accusato la Cina di genocidio. I legislatori canadesi hanno inoltre approvato un emendamento per invitare il Comitato olimpico internazionale a trasferire le Olimpiadi invernali del 2022, organizzate a Pechino. Quale è stata la risposta di Pechino? Ritiene che questo gesto possa avere ripercussioni nella comunità internazionale, per lo più convincendo altri Paesi a schierarsi nettamente a favore dei diritti umani degli uiguri?
“Questa idea del genocidio è stata riproposta da Biden, non è stata solo una strategia anti-cinese di Trump. La Cina risponde dicendo che ogni Paese ha la propria idea di diritti umani e che l’idea di diritti umani non si possa generalizzare. Con riferimento ai centri di ri-educazione, concepiti dalla RPC come scuole e non come campi di concentramento, la Cina nega che ci siano stati abusi perpetrati a discapito degli uiguri o di altre minoranze. La parola resta a gruppi della diaspora uigura all’estero come il World Uyghur Congress, che cercano di realizzare dei documentari per dimostrare che ci sono degli abusi che vengono perpetrati per laicizzare la mente di questi separatisti. In realtà basta praticare l’Islam per essere considerati separatisti.
Un altro tipo di controllo cinese messo in atto dalla RPC è quello riportato da Darren Bayler, il più grande studioso di politiche cinesi repressive verso il Xin Jiang, spiega Rosati. “Il Partito costringe le famiglie uigure ad ospitare “i parenti” che non sono nient’altro che degli Han che lavorano per il governo e che devono accertarsi che non si parli uiguro, non si preghi, non si indugi in atteggiamenti possibilmente separatisti o terroristi. Il Partito sta cercando persino di creare dei matrimoni forzati per far sposare le donne uigure con gli Han e creare una sorta di inversione genetica.” Su questa ultima notizia tuttavia, Rosati ammette di averla appresa dai social media e di non essere completamente certa della sua veridicità e consiglia: “Quello che si può fare è interessarsi, parlare con i rappresentanti delle associazioni della diaspora uigura, contattarli ufficialmente come organi istituzionali.” La diaspora uigura tuttavia viene da molti considerata sospettosa, “ho accompagnato una coppia di richiedenti asilo uiguri in Italia ed era chiaro che loro non volessero frequentare altri uiguri, perché la Cina cerca anche di influenzare le politiche estere riguardo alle minoranze e di attuare una sorta di spionaggio dal basso, cooptando cittadini qualunque e convertendoli in spie. Nonostante ciò è comunque importante rifasi alle testimonianze di queste associazioni, informatevi moltissimo, non solo sulla repressione ma anche sulla cultura uigura che è ricchissima, fatta di poesia, musica e danza.” A questo proposito Rosati ci consiglia il libro dell’antropologa Rachel Harris: Soundscapes of Islam and China, un lavoro di trascrizione della musica e della cultura musulmana in Cina.
E la posizione dell’Unione Europea?
“Non bisogna dipingersi come i paladini della giustizia, poiché anche se Paesi come la Francia e l’Italia non stanno prendendo una parte attiva come membri attivi della Belt and Road Initiative, i Paesi Europei hanno recentemente firmato un trattato di cooperazione economica con la Cina. Sicuramente quello che la Cina tenterà di fare è quello di minare il principio morale occidentale del diritto dell’uomo attraverso dei legami economici ai quali sarà difficile dire di no.
Come sono percepite le minoranze degli Uiguri e degli Hui Zu dalla popolazione Han? È possibile secondo lei immaginare una loro integrazione futura basata su un assetto multiculturale se non interculturale?
“L’integrazione già esiste. Io ho condotto ricerca sul campo per 10 anni nella città di Ling Xia in Gansu e lì non ci sono problemi di integrazione. La comunità musulmana vive pacificamente con la comunità Han, non ci sono scontri interetnici. Ci sono più scontri inter-confessionali all’interno della comunità islamica. È un’integrazione fatta di tolleranza. Il grande spartiacque è il tabù sulla carne di maiale più che la fede islamica, non si tratta solo di un tabù religioso poiché è legato all’idea di igiene e di purezza. Nel momento in cui una persona mangia maiale è contaminata e contaminante, per questo in Cina i musulmani evitano di mangiare a casa degli Han, poi a seconda di dove si va ci sono diversi modi di vedere. Gli Han si adeguano ai costumi di queste minoranze nelle zone a prevalenza islamica. Quello che serpeggia è tuttavia una tolleranza silente, per gli Han i musulmani cinesi sono barbari e superstiziosi, per i musulmani gli Han sono sporchi, ma non ho mai visto manifestazioni spontanee dove gli Han insultino apertamente gli Hui, atti di violenza esplicita o atti di razzismo incontrollato come potrebbero accadere in Occidente.
Secondo Lei, la Cina sta effettivamente riuscendo in quest’opera di omogeneizzazione dell’identità delle minoranze musulmane cinesi?
“I primi musulmani sono entrati in Cina nel settimo secolo e non se ne sono più andati. Ovviamente non si devono sottovalutare le politiche del Partito, basate sul sospetto, sul razzismo e sulla supremazia Han. Politiche perdenti a mio parere ma sicuramente devastanti. Per lo più non ci si deve dimenticare della potente arma del consumismo, ben più potente di qualsiasi politica repressiva. Il consumismo ti fa dimenticare chi sei, crea delle dipendenze omogeneizzanti. D’altra parte le diaspore sono particolarmente efficaci perché compiono una ricostruzione della memoria importante. È molto difficile cancellare una cultura non c’è riuscito l’olocausto, non ci sono riusciti i Giapponesi e i Cinesi che hanno dominato la città di Taiwan imponendo la lingua e cercando di sradicare la cultura degli aborigeni. Ricordare, apprendere e conoscere queste culture è indubbiamente un metodo molto efficace per impedirne i tentativi di cancellazione.”