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Corsa ai rifornimenti

DI PAOLA MIGLIORISI

12/02/2024

In tempi di guerra, la prima cosa che gli stati hanno imparato a fare è stato riarmarsi. In tempi di guerra, la corsa agli armamenti è il primo step per assicurarsi una propria difesa. In questo tempo di guerra, la corsa agli armamenti è accompagnata anche da una corsa ai rifornimenti, che arriva fino ad un altro continente. Se adesso non è più possibile approvvigionarsi da chi è diventato nostro nemico, occorre sperare che altri possano reputarci (ancora) loro amici.

Cambio rotta

Fino al 2021, la maggior parte dell’import di gas italiano proveniva dal territorio russo che, negli anni, ha alimentato una forte dipendenza italiana da questo commercio. D’altro canto, l’Italia non era l’unica dei paesi europei ad essere rifornita dalla Russia: durante la seconda metà del 2021 la quota di gas naturale importata dall’Unione Europea era del 50%; nel novembre 2022, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, è scesa sotto al 15%.

In questo scenario, il commercio di idrocarburi diventa un’arma al servizio della politica estera: dalla parte russa assistiamo ad una militarizzazione delle fonti energetiche, mentre gli acquirenti dell’UE tentano la creazione di ponti diplomatici con altri potenziali rivenditori, per salvare le loro riserve. In particolare, il caso italiano vede nel conflitto in Ucraina un richiamo alla propria vulnerabilità; la crisi energetica ha fatto lievitare moltissimo i costi dell’energia, in uno scenario economico già in recessione.

Il bisogno di risorse ha quindi plasmato i piani diplomatici italiani, conferendo centralità alla sua posizione strategica sul Mediterraneo; anche se, negli anni, si è sempre evidenziata la sua debolezza nella gestione politica di molti scenari appartenenti a quest’area geografica. Allo stesso tempo, però, la necessità energetica ha richiesto di rinforzare i rapporti con i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, cambiando la rotta delle importazioni italiane di idrocarburi.



Il ponte italiano

La posizione geografica dell’Italia crea per sua natura un terreno favorevole per la creazione di ponti sul Mediterraneo. Da questa prospettiva si evidenzia la dicotomia su cui la politica estera italiana si vuole espandere: verso nord, inserendosi nel contesto dell’integrazione europea, verso sud, tendendo sempre più la mano al continente africano per cercare di espandere i settori di comune interesse.

Partendo dall’incremento dei commerci sulle risorse primarie con i paesi africani, l’Italia mira a fare del Mediterraneo il punto di partenza per il rilancio di una sua autonoma politica estera che possa conferirgli centralità soprattutto nello scenario europeo. Queste le basi su cui poggia la presentazione del Piano Mattei da parte del governo Meloni, già preannunciato nel 2023 e presentato lo scorso 28 e 29 gennaio a Palazzo Madama. Qui si è tenuto il vertice Italia-Africa, in cui il piano è stato denominato come “un ponte per una crescita comune”, e al quale hanno partecipato i leader di numerosi paesi africani, il Presidente dell’Unione Africana Azali Assoumani, il Presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat, la Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e la Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite Amina Jane Mohammed.

La denominazione del piano italiano per l’Africa mira a sottolineare il metodo “non predatorio” con il quale l’Italia vuole approcciarsi ai paesi del continente, tramite la creazione di partenariati su tematiche portanti del piano stesso. Durante la sua presentazione, vengono svelati i cinque pilastri su cui si intende agire: istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia e acqua. Sull'energia si rintraccia il punto focale attorno al quale l’Italia traccia la costruzione del suo ponte, ovvero, l’obiettivo di diventare un “hub” energetico che metta in collegamento l’Europa con l’Africa. In quest’ottica, l’intitolazione a Mattei mira a instaurare un rapporto paritario con questi paesi, che abbia lo scopo di finanziare la crescita sui settori citati. I fondi stanziati al momento corrispondono a 5,5miliardi, di cui circa 3 miliardi provenienti dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi e mezzo dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo.

Dal punto di vista del governo italiano, il Piano Mattei ha un ruolo molto importante nel definire una linea di politica estera che si presenti nuova all’elettorato e che permetta di parlare di Africa in maniera neutra. Infatti, il canale comunicativo utilizzato posiziona l’Italia su una linea consensuale, che da una parte mostra la volontà di aiutare e cooperare con paesi mettendoli sullo stesso piano, dall’altra risponde all’esigenza di gestione dei flussi migratori. Durante la sua presentazione, la Presidente Meloni sottolinea come queste iniziative possano aiutare i cittadini africani a trovare un tenore di vita adeguato, senza dover emigrare; si trova, dunque, una risposta da servire agli elettori per la politica migratoria.



Cosa ne pensano in Africa

Ad oggi ancora non si ha un testo ufficiale del Piano Mattei. Sono stati pubblicati i cinque settori su cui si intende intervenire, ma non è stato spiegato come questi interventi verranno messi in pratica nel tempo. Da questa prospettiva non dobbiamo sorprenderci dell’intervento del Presidente della Commissione dell’UA, Moussa Faki Mahamat, che durante il vertice si è posto con toni dubbiosi e critici. Ribadisce che l’Unione Africana avrebbe gradito una fase di consultazione sulle proposte del progetto e che si auspica di “passare dalle parole ai fatti”. Inoltre, le CSO (Civil Society Orgnisations) africane chiedono che il Vertice tracci un nuovo corso per la cooperazione euro-africana, proteggendo le popolazioni, gli ecosistemi e la biodiversità del continente, affrontando anche l’emergenza climatica.

La presenza dei leader di tanti paesi ha evidenziato una buona apertura da parte africana di prendere parte alle iniziative designate dal piano. Ma è importante capire quanto questi paesi siano effettivamente disposti ad attendere la messa in pratica di concreti finanziamenti da parte degli occidentali. Occorre fare i conti con una palpabile stanchezza relativa alle promesse occidentali che hanno tenuto, per lungo tempo, gli africani aggrappati a speranze mai realizzate. Infatti, la guerra in Ucraina ha fatto sì che gli europei volgessero lo sguardo di nuovo verso i territori dell’altro continente, nello stesso momento in cui leader africani giravano le spalle. É stato lo scenario a cui abbiamo assistito durante il voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’invasione russa dell’Ucraina, al quale molti stati africani non si sono posizionati sullo schieramento occidentale.

A conti fatti, oggi l’Africa è il bacino di floridi investimenti russi e cinesi, in cui gli europei molto spesso non vengono più accolti, dopo il passato coloniale. Le due potenze hanno avviato importanti progetti che versano all’Africa ingenti finanziamenti, spesso criticati come rischiosi e poco trasparenti, ma che dal punto di vista geopolitico legano gli stati del continente ad altre nuove aree del mondo.



Scatola chiusa o scatola vuota?

Se si vuole dare attuazione a quella politica di sviluppo e cooperazione verso l’Africa e con l’Africa, il Piano Mattei, che viene presentato dalla premier italiana non “concepito come una scatola chiusa da imporre e calare dall’alto[1]”, deve riempirsi di progetti realizzabili concretamente. Oltre ai vantaggi italiani, bisognerebbe mettere in pratica i principi che il petroliere senza petrolio, Enrico Mattei, portò avanti nella sua politica di collaborazione con i paesi produttori. Aprire a forme di cooperazione più eque ed equilibrate, in cui siano inseriti anche gli interessi legittimi degli africani. Altrimenti si rischia di far trasparire tutto questo soltanto come una corsa ai rifornimenti che l’Italia, come altri stati europei, necessita di mettere in pratica.

Dal punto di vista comunicativo, il vertice Italia-Africa è stato di successo, ma si teme rimanga solo una scatola vuota, più che una scatola chiusa, se non la si inizia a riempire di programmi validi e applicabili, i cui fondi siano destinati ad aumentare. Dalla sua parte l’Italia ha bisogno di fare chiarezza anche sui potenziali rischi di questi investimenti: si stanno aprendo le porte ad altri approvvigionamenti di combustibili fossili con tempistiche che si espandono sul medio-lungo termine, ma il richiamo al perseguimento di produzioni di energia sostenibili e gli impegni presi alla Cop28 potrebbero entrare in contrasto con questa strategia.



Fonti:

1 https://www.governo.it/it/articolo/vertice-italia-africa-linterventi-di-apertura-del-presidente-meloni/24857

https://www.governo.it/sites/governo.it/files/Piano_Mattei_cinque_pilastri.pdf

https://www.itssverona.it/wp-content/uploads/2023/07/Ilas_Touazi.pdf

https://dgsaie.mise.gov.it/importazioni-gas-naturale

https://www.consilium.europa.eu/it/infographics/eu-gas-supply/

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