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Il Canale di Suez e il ruolo nel commercio globale

DI SARA BARONE

06/04/2021

Le recenti notizie giornalistiche sul blocco della nave portacontainer Ever Given nel Canale di Suez hanno riportato l’attenzione globale sull’importanza geopolitica ed economica che lo stretto riveste nell’intero panorama mondiale. È bene, pertanto, ripercorrere le origini e la natura del canale di Suez e le sue implicazioni sui traffici transnazionali e l’economia mondiale.


Cosa è il Canale di Suez? Quali sono le sue origini?


Il canale di Suez è un canale artificiale situato in Egitto, tra porto Said sul mar Mediterraneo e Suez sul mar Rosso, che taglia l’omonimo istmo permettendo la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano senza, quindi, la necessità di circumnavigare l’Africa e raggiungere l’Asia dal capo di Buona Speranza.

Il canale fu costruito durante metà del diciannovesimo secolo e completato nel 1867 su progetto di un ingegnere di origini italiane, Luigi Negrelli. Alla costruzione parteciparono diverse potenze dell’epoca, con l’obiettivo di intensificare gli scambi commerciali con Medio Oriente e Asia e di espandere i domini coloniali allora già nel loro pieno e dinamico sviluppo. La costruzione del canale fu finanziata prevalentemente dal governo egiziano e da quello francese (i cui interessi coloniali ed economici nella zona erano assai rilevanti) e, in misura minore, da quote azionarie provenienti da tutta Europa.

In realtà, diversi sopralluoghi e studi topografici dell’area erano stati condotti già in età moderna, ma avevano erroneamente riscontrato un dislivello fra i due mari che avrebbe reso la costruzione del canale decisamente più costosa e difficile. Fu poi negli anni Quaranta dell’Ottocento che i saint-simoniani istituirono la “Societé d’étude pour le canal de Suez”, istituto che propose una nuova topografia della zona e mostrò che la differenza di altitudine tra le superfici dei due mari era trascurabile. Questa scoperta, infine, avvicinò Egitto e Francia e promosse la definitiva decisione di costruire il canale.

Inaugurato nel 1869, subito il canale divenne un centro nevralgico per gli scambi internazionali e le rotte commerciali Europa-Asia, nonché teatro anche di crisi e rivendicazioni di vario genere. Già dai primi anni di attività, infatti, fu necessaria una regolamentazione del canale per impedire gli eccessivi profitti della Compagnia che lo gestiva ai danni delle altre realtà nazionali. A tal proposito, risulta chiave la Convenzione di Costantinopoli del 1888, diretta conseguenza della crisi anglo-egiziana del 1882 che aveva determinato la definitiva ingerenza del governo britannico in Egitto e quindi il controllo sulla rotta di Suez. In occasione della Convenzione fu siglato un trattato multilaterale commerciale fra le varie potenze europee che confermò il regime di libertà del canale, dichiarato «libero e aperto, in tempo di guerra come in tempo di pace, a qualsiasi nave civile o militare, senza distinzione di bandiera». Nonostante il principio chiave di free trade a cui si ispirava il trattato, per tutto il Novecento e soprattutto durante i due conflitti mondiali, il canale divenne appannaggio prevalentemente del Regno Unito, che lo utilizzò per scopi bellici e logistici.

Nel secondo dopoguerra, poi, le potenze mondiali riportarono in auge la questione della gestione del canale: si chiedeva di ampliare la rappresentanza dei paesi utenti nel consiglio di amministrazione della Compagnia nella prospettiva di una riduzione delle tariffe e si proponeva poi di negoziare una internazionalizzazione della gestione del canale, sotto l’egida in qualche modo dell’Onu, assicurando i piani di ampliamento e ammodernamento necessari. Nel 1956, infine, fu la cosiddetta Crisi di Suez, ossia quando Londra e Parigi intervennero al fianco di Israele in un’aggressione tripartita per impedire la nazionalizzazione del Canale dichiarata dal leader egiziano Gamal Abdel Nasser, a segnare la definitiva ingerenza degli USA nel Mediterraneo, spiazzando il Regno Unito e imponendosi come nascente super potenza. Nasser si tenne il canale (lasciando libero accesso alle navi di tutte le nazioni tranne Israele) e gli invasori annunciarono il ritiro delle truppe. La crisi era chiusa ma il mondo era cambiato: Francia e Regno Unito avevano fallito come potenze coloniali (negli anni successivi avrebbero perso tutti i propri possedimenti). Il Regno Unito, in particolare, indietreggiava ridimensionando le mire imperialiste per fare da gregario agli Stati Uniti. I Paesi arabi non erano più semplici colonie, ma entravano a far parte a tutti gli effetti dei più importanti attori geopolitici che avrebbero segnato la fine del Novecento. Oggi, il canale è gestito dall’Autorità del Canale di Suez, di proprietà statale, ed è un’importante fonte di guadagno per il governo egiziano.


Che ruolo ha nei commerci internazionali? Perché è un punto strategico?


Nel corso del Novecento il passaggio nel corso d’acqua che taglia la terra egiziana è diventato essenziale prima per il trasporto verso l’Europa del greggio estratto nel Golfo Persico, poi per l’intensificarsi degli scambi tra l’Asia, soprattutto la Cina, e i mercati del Vecchio Continente. Mediamente, ogni anno per Suez passa il 12% del commercio mondiale (in termini di volume): l’anno scorso si è trattato di 18.829 navi con 1,17 miliardi di tonnellate di merci a bordo. All’Egitto, il traffico del 2020 ha portato entrate dai pedaggi per 5,61 miliardi di dollari, terzo anno più ricco nella storia del Canale. In particolare, da qui passano il 30% dei container, il 10% delle merci e il 4,4% del greggio mondiale. Senza Suez, una superpetroliera che trasporta il greggio del Medio Oriente verso l’Europa dovrebbe percorrere oltre 9.600 chilometri in più intorno al Capo di Buona Speranza, in Africa, aggiungendo circa 300 mila dollari di costi di carburante e impiegando quasi due settimane in più.

Di massima rilevanza, anche oggi, è il transito nel canale del 2,5% dell’output mondiale di petrolio, fatto che riduce notevolmente i costi e i tempi di approvvigionamento delle nazioni. Non solo petrolio sul Canale di Suez, ma anche tessile e abbigliamento, edilizia, manifatture e automotive. Suez è uno snodo fondamentale nel Mediterraneo, sede di commerci transnazionali in ogni settore dell’economia. Per fare un esempio, secondo i dati di Intesa Sanpaolo, per l’Italia Suez rappresenta il 40,1% dell'import-export marittimo, per un valore di 82,8 miliardi di euro. O ancora, per la Cina il canale sarà un nodo fondamentale della “Nuova via della seta”, iniziativa per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi dell’Eurasia. Secondo la Suez Canal Authority, nel 2019 da Suez sono transitate un totale di 1,03 miliardi di tonnellate di carico. Un valore circa 4 volte più alto di quello che è passato attraverso il canale di Panama. Tra le altre merci, sono passate attraverso il canale 54,1 milioni di tonnellate di cereali, 53,5 milioni di tonnellate di minerali e metalli e 35,4 milioni di tonnellate di carbone e coke nel 2019.


Cosa è successo gli ultimi giorni di marzo? Quali conseguenze ha avuto l’ancoraggio della nave?



Il canale di Suez, originariamente lungo e largo rispettivamente 164km e 53m, è stato modificato e ampliato circa una decina di anni fa, arrivando oggi a 194km di lunghezza e oltre 200m di larghezza. Lo scorso martedì 24 marzo, però, una portacontainer di circa 400m di lunghezza si è incagliata a causa del forte vento ostruendo il passaggio da un lato all’altro del canale e bloccando la rotta per quasi una settimana. Per avere un’idea delle dimensioni, la portacontainer Ever Given è lunga 4 volte la Statua della Libertà e più di sette volte la Torre di Pisa, con un peso di oltre 220 mila tonnellate. Dimensioni mastodontiche che hanno richiesto più tentativi e interventi per liberare il canale. Un’operazione, questa, costata miliardi di dollari al giorno (in termini di traffici perduti) e che ha rallentato – e in alcuni casi bloccato – molteplici rotte di approvvigionamento globale, divergendole verso il Capo di Buona Speranza o annullando il loro transito. La questione ha rilevanza incredibile per le economie di tutto il mondo, legate e collegate tra di loro nel nome di una globalizzazione che nell’ultimo anno ha mostrato le sue grandi debolezze e fratture. Basti pensare che dopo pochissime ore dall’incagliamento nel canale di Suez il prezzo al barile del petrolio sia salito del 5% a causa di eventuali rallentamenti in previsione di un cambiamento di rotta dei distributori.

Oggi, lunedì 29 marzo, un tweet del fornitore globale di servizi offshore Inchcape Shipping scrive che la MV Ever Given è stata rimessa a galla con successo nelle prime luci dell’alba. Il sito di tracciamento navi Vasselfinder ha cambiato lo status della Ever Given in under way (in movimento). I primi successi nello sblocco del Canale di Suez fanno calare immediatamente il prezzo del petrolio: sul mercato il greggio scende sotto la soglia dei 60 dollari con un calo del 2,2 a 59,5 dollari al barile (fonte: ANSA).

Tutto ciò deve far riflettere su quanto la grande economia globalizzata cammini e funzioni sul filo di un rasoio: è stata sufficiente una portacontainer incagliata per meno di una settimana per mettere in crisi il traffico internazionale e far salire i prezzi alle stelle, creando disagi economici a livello globale.


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