top of page

Il futuro del Sahara Occidentale tra diplomazia, strategia e realismo politico

DI VIOLA COZZI

17/11/2025

Territorio conteso e simbolo di una decolonizzazione mai conclusa, il Sahara Occidentale è oggi teatro di un equilibrio fragile, in cui prevalgono stabilità politica e realismo ai danni di una lontana promessa di autodeterminazione. Da decenni il conflitto oppone il Marocco al Fronte Polisario, con l’Algeria sullo sfondo, mentre la comunità internazionale rimane sospesa tra principi e convenienza.

Dalla decolonizzazione incompiuta allo stallo contemporaneo
Il Sahara Occidentale rappresenta oggi una delle più evidenti anomalie dell’ordine internazionale post-coloniale, ed un’ennesima testimonianza delle difficoltà di quest’ultimo nel conciliare principi di diritto ed interessi nazionali.
Conosciuto in passato come “Sahara spagnolo” - occupato ed amministrato da Madrid a partire dalla Conferenza di Berlino del 1884 - il territorio avrebbe dovuto essere sottoposto fin dal 1975 ad un processo di decolonizzazione mediante referendum di autodeterminazione. Nonostante le reiterate richieste da parte dalle Nazioni Unite, tuttavia, tale passo non fu mai compiuto. Attraverso gli Accordi di Madrid, infatti, a seguito del ritiro della Spagna furono Marocco e Mauritania ad assumere il controllo amministrativo del Sahara Occidentale, ignorando qualsivoglia volontà del popolo saharawi e del relativo Fronte Polisario, fondato nel 1973 per la promozione dell’indipendenza e riconosciuto dall’ONU come rappresentante legittimo della popolazione locale. Su richiesta marocchina, la Corte Internazionale di Giustizia emise unparere sulla questione nell’ottobre 1975, nel quale in ultima istanza si affermava l’assenza di legami di sovranità tra il territorio del Sahara Occidentale, Marocco e Mauritania, ribadendo dunque il diritto dei saharawi all’autodeterminazione. Ciò non fu sufficiente ad arrestare le ambizioni marocchine, legittimate simbolicamente dall’evento della “Marcia Verde”, quando centinaia di migliaia di cittadini furono inviati oltre il confine come gesto patriottico di “riunificazione nazionale”. La risposta del Fronte Polisario fu la proclamazione, nel febbraio 1976, della Repubblica Democratica Araba dei Saharawi, che determinò lo scoppio di un conflitto armato con il Marocco conclusosi ufficialmente solo nel 1991, grazie ad un cessate il fuoco mediato dall’ONU.
Da allora la situazione è rimasta di fatto congelata, con il territorio del Sahara Occidentale suddiviso de facto in due entità distinte e diseguali: una, maggioritaria, controllata dal Marocco, l’altra, di minore entità e praticamente disabitata, amministrata dal Fronte Polisario. Inoltre, mentre formalmente la missione peacekeeping ONU (MINURSO) - insediatasi in Sahara Occidentale nello stesso 1991 e garante del mantenimento della pace - continua ad esistere, essa è rimasta ormai priva di strumenti reali per organizzare il referendum previsto per determinare il futuro del territorio, e fatica a mantenere la neutralità a causa dei persistenti interessi delle potenze coinvolte.


La strategia del Marocco: dal controllo territoriale al consenso diplomatico
Negli ultimi due decenni il Marocco ha trasformato la gestione del Sahara Occidentale in un progetto di legittimazione internazionale, tramite una politica di consolidamento interno ed un’efficace diplomazia economica. Rabat ha saputo convertire il proprio controllo de facto in un capitale politico crescente, come dimostra il piano di autonomia del territorio che il governo ha presentato nel 2007 e che costituisce il fulcro di questa strategia, divenendo progressivamente il riferimento principale del dibattito internazionale. Esso prevede un’amministrazione autonoma per il Sahara Occidentale, rimanendo però all’interno di un quadro di assoluta sovranità marocchina; il Fronte Polisario, o le autorità elette in un secondo momento, sarebbero dunque legittimate ad esercitare competenze locali, ma rinunciando di fatto alle proprie ambizioni di indipendenza, eventualità che il Fronte ha più volte dichiarato di ritenere inaccettabile.

Ciononostante, la proposta del Marocco ha con il tempo acquisito sempre maggiore appoggio internazionale, tanto che gli Stati Uniti nel 2020 hanno riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale in cambio della normalizzazione del Paese nei suoi rapporti con Israele. Spagna, Francia ed altri Stati membri dell’Unione Europea, invece, pur evitando un riconoscimento formale, hanno sostenuto la “credibilità e realismo” del piano. Questa evoluzione ha trovato la sua più recente conferma nella Risoluzione 2797 del Consiglio di Sicurezza ONU, approvata lo scorso 31 ottobre 2025. Il suo contenuto, pur rinnovando il mandato della MINURSO, definisce per la prima volta la proposta marocchina per il futuro del Sahara Occidentale come “una base seria e realistica per una soluzione politica duratura”. Si tratta di un passaggio semantico ma sostanziale, con il quale il diritto all’autodeterminazione lascia ufficialmente spazio ad una logica di stabilizzazione e compromesso politico.
L’approccio marocchino risponde, peraltro, ad un disegno più ampio, che mira a presentare il Regno come attore di stabilità regionale e partner affidabile per Europa e Stati Uniti in materia di sicurezza, migrazione e cooperazione economica in un contesto saheliano segnato da crisi e colpi di Stato. In quest’ottica, anche l’inclusione del Sahara Occidentale nelle politiche di sviluppo interne e negli investimenti infrastrutturali rafforza la percezione di un’integrazione irreversibile del territorio nel sistema statale marocchino.


Il ridimensionamento di Algeria e Fronte Polisario

L’evoluzione recente ha comportato anche un ridimensionamento della capacità d’influenza di un altro attore chiave nelle dinamiche della regione: l’Algeria.
Per decenni il Paese ha sostenuto con successo il Fronte Polisario come proiezione della propria identità anti-coloniale e strumento per contenere l’egemonia marocchina nel Maghreb, in un clima continentale che tendeva ad appoggiare tale posizione. Tuttavia, oggi la maggioranza degli Stati africani privilegia rapporti economici con Rabat, e solo una parte residuale mantiene un riconoscimento formale della Repubblica Saharawi, determinando l’effettiva erosione del fronte di solidarietà a favore di quest’ultima che si era venuto a creare negli anni Ottanta e Novanta. L’Algeria conserva un ruolo di tutela, garantendo l’ospitalità della diaspora saharawi nei campi profughi di Tindouf, ma la sua influenza effettiva appare sempre più scarsa.
Il Fronte Polisario, d’altro canto, privo di mezzi militari e di visibilità diplomatica, si ritrova intrappolato tra un discorso di legittimità giuridica e la perdita di rilevanza politica. Nei territori occupati dal Marocco, che oggi costituiscono la gran parte del Sahara Occidentale, ogni forma di dissenso è sottoposta a restrizioni, mentre nei campi rifugiati prevale la disillusione di una generazione nata in esilio. In questo quadro, la narrazione sahariana, incentrata sul diritto all’autodeterminazione, rischia di apparire disancorata da una realtà geopolitica che non le riconosce più efficacia trasformativa.


Realismo politico e limiti del diritto internazionale

La Risoluzione 2797 del Consiglio di Sicurezza riflette una tendenza ormai consolidata nel sistema internazionale ad accettare implicitamente un ordine di fatto non conforme al diritto, ma considerato funzionale alla stabilità regionale. Giuridicamente, il Sahara Occidentale resta un territorio non autonomo, come dimostra il fatto che l’ONU non ha mai riconosciuto la sovranità marocchina, né rimosso il territorio dalla lista dei casi di decolonizzazione incompiuta, ma sul piano politico la “normalizzazione” del controllo di Rabat è sempre più evidente: accordi economici e convergenza diplomatica con i principali attori occidentali hanno prodotto un riconoscimento pragmatico, che si sovrappone al vuoto giuridico e traduce la realtà effettiva del potere in legittimità politica. In un simile contesto, il principio di autodeterminazione, pilastro della decolonizzazione, è ormai subordinato alle logiche di sicurezza e di equilibrio regionale, e l’ONU, pur rimanendo un punto di riferimento fondamentale, si trova priva di strumenti per imporre un cammino virtuoso che rispetti i diritti della popolazione saharawi, e costretta a limitarsi a gestire la stabilità attraverso una MINURSO ridotta a mera funzione di monitoraggio.

La vittoria del realismo politico sul normativismo giuridico non risolve la questione sahariana, ma la sospende, affidandola alla logica della gestione più che della giustizia. Finché gli attori internazionali non riusciranno a conciliare stabilità e legittimità, il Sahara Occidentale continuerà a rappresentare un laboratorio esemplare della distanza crescente tra il linguaggio del diritto e la grammatica del potere.









Fonti

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sahara-occidentale-vs-sahara-marocchino-la-soluzione-di-rabat-si-fa-largo-222442 

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sahara-occidentale-la-lunga-marcia-dei-sahrawi-28894

https://www.atlanteguerre.it/conflict/sahara-occidentale/ 

https://www.nigrizia.it/notizia/sahara-occidentale-trump-marocco-algeria-onu-polisario-sarhawi

https://www.nigrizia.it/notizia/sahara-occidentale-onu-piano-marocco-trump-algeria-minurso

https://www.sadrpma.com/wp-content/uploads/2014/11/icjopinionaboutimage1.pdf


Credits: UN Photo/Martine Perret

Articoli Correlati

Un muro di sabbia per il Western Sahara

In Africa, il Corno non è sempre dell'Africa

In Africa, il Corno non è sempre dell'Africa

In Africa, il Corno non è sempre dell'Africa

bottom of page