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Un conflitto senza tempo, Kashmir

DI CAMILLA BIANCHEDI

28/04/2025

Il Kashmir è una delle aree più militarizzate del mondo, al centro di un conflitto irrisolto da oltre 75 anni, principalmente a causa della sua posizione tra Cina, India e Pakistan. Lo scorso martedì 22 aprile, nella regione del Kashmir amministrata dall’India c’è stato un attacco terroristico in cui sono stati uccisi 26 turisti. Nessuno ha ancora la conferma ufficiale su chi sia stato il vero mandante dell’attentato, ma entrambi i Paesi sembrano cercare un pretesto per riaccendere una guerra mai davvero conclusa.

Il Kashmir è una delle aree più militarizzate del mondo, al centro di un conflitto irrisolto da oltre 75 anni, principalmente a causa della sua posizione tra Cina, India e Pakistan. Nel 1947, con la fine del dominio britannico in India, nacque il Pakistan. Di conseguenza i vari Stati principeschi della regione hanno dovuto decidere se aderire all’India o al nuovo Stato o, seppur irrealisticamente, provare ad ottenere l’indipendenza. Hari Singh, il maharaja induista del Kashmir, che regnava su una popolazione a maggioranza musulmana, vista la difficoltà della scelta, accettò di mantenere lo status quo amministrativo e commerciale con il Pakistan, in attesa di una decisione definitiva sull’adesione, come previsto da un’intesa generale rivolta a tutti gli stati principeschi. Nonostante tale accordo fosse stato firmato, nell’ottobre del 1947 tribù pachistane invasero la regione. Di fronte all’invasione, Singh chiese l’aiuto militare indiano, segnando la fine della sua indecisione. Infatti, il governatore dell’India, Lord Mountbatten, credette che la pace sarebbe stata meglio raggiunta con l’annessione temporanea del Kashmir all’India. Quello stesso mese, Singh firmò quindi il trattato di adesione, cedendo il controllo della politica estera e di difesa all’India. Ma il conflitto armato tra Pakistan e India per la regione era ormai iniziato e si arrestò solo con le truppe indiane che controllavano circa due-terzi della regione, mentre il Pakistan mantenne la parte settentrionale. Inoltre, nel 1962 scoppiò un ulteriore conflitto tra Cina e India per il controllo sulla parte orientale del Kashmir – l’Aksai Chin – che si concluse rapidamente con la vittoria cinese, ancora oggi motivo di forti tensioni tra i due Paesi.

Il motivo principale della disputa indo-pachistana risiede nel fatto che il Pakistan afferma ancora oggi che le truppe indiane entrarono nella regione prima della firma del trattato di adesione del Kashmir, ignorando di fatto l’accordo del 1947, a differenza di quanto sostenuto dall’India. Islamabad perciò chiede da tempo un referendum per decidere la posizione del Kashmir, mentre Nuova Delhi ritiene che la partecipazione della popolazione del Kashmir alle successive elezioni indiane equivalga a una conferma della sua volontà di far parte dell’India. 

Nel 1965 il conflitto tra i due Stati si riaccese nella seconda guerra Indo-Pakistana, terminata l’anno successivo con un cessate il fuoco. La linea di tregua fu poi formalizzata nel 1972 con l’accordo di Simla, che la definì come Linea di Controllo (LoC). Nello stesso periodo emerse una terza posizione, promossa dal Jammu and Kashmir Liberation Front, che propone la riunificazione e l’indipendenza del Kashmir, una prospettiva che né l’India né il Pakistan sono disposti ad accettare. Successivamente, altri quattro momenti di forte escalation hanno rischiato di sfociare in un conflitto aperto tra i due Stati; la situazione si è ulteriormente aggravata da quando entrambi i Paesi sono diventati potenze nucleari (l’India nel 1974, il Pakistan nel 1998). L’ultimo episodio risale al 2019, quando la crisi, scoppiata dopo un attentato suicida nel Kashmir indiano che uccise 40 soldati indiani, si è chiusa nel 2021 con un ulteriore debole accordo sul cessate il fuoco lungo la LoC. 


Lo scorso martedì 22 aprile, nella regione del Kashmir amministrata dall’India (nella zona iper turistica di Pahalgam) c’è stato un attacco terroristico in cui sono stati uccisi 26 turisti. Inutile dire che la tensione tra India e Pakistan ha nuovamente raggiunto l’apice. The Resistance Front, un gruppo armato che sostiene l’indipendenza del Kashmir, ha inizialmente rivendicato l’attacco. Nello stesso momento la maggior parte dei media indiani, per lo più allineati con la politica nazionalista del primo ministro indiano, ha iniziato a trasmettere i video dell’attacco, chiedendo apertamente vendetta anche contro il Pakistan, accusato di aver aiutato il gruppo armato. Il tutto rafforzato dai toni aggressivi di Modi, il quale ha promesso di punire i responsabili e chi li ha aiutati “oltre ogni loro immaginazione”. 

L’attuale Presidente del Pakistan Zardari, ha immediatamente risposto alle accuse negando qualsiasi coinvolgimento del suo governo nell’attacco e ha affermato che il suo Paese è pronto a reagire in caso di attacchi indiani. L’ondata di azioni e reazioni è già iniziata. Modi ha sospeso unilateralmente l’“Indus Waters Treaty”, che regola la condivisione delle risorse idriche tra i due Stati, una decisione che potrebbe mettere a serio rischio l'approvvigionamento idrico pachistano. L’India ha poi chiuso il principale valico di frontiera col Pakistan per beni e persone, ha sospeso tutti i visti ai cittadini pachistani presenti sul territorio ordinando loro di lasciare il Paese entro il 27 aprile, ha dichiarato persona non grata i consiglieri militari pachistani a Delhi e ha ridotto il numero dei suoi diplomatici in Pakistan. In risposta, giovedì il governo pachistano ha rigettato la sospensione unilaterale del trattato sulle acque, affermando che un qualsiasi tentativo di interrompere o deviare il flusso dei fiumi sarà visto come un atto di guerra. Ha inoltre minacciato di sospendere tutti gli accordi bilaterali con l’India, incluso il Simla Agreement del 1972, ha ridotto il numero di diplomatici in India a 30, ha chiuso il confine di Wagah con effetto immediato e ha chiuso lo spazio aereo ai voli indiani.


Il rischio di un nuovo conflitto armato è concreto: i due Paesi sembrano fare tutto il possibile per avvicinarsi allo scontro, proprio come nel 2019. Nessuno ha ancora la conferma ufficialesu chi sia stato il vero mandante dell’attentato, ma entrambi i Paesi sembrano cercare un pretesto per riaccendere una guerra mai davvero conclusa.

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