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Ma che cos’è il populismo?

DI CARLO TOSI

19/01/2021

Dopo l’assalto a Capitol Hill e le uscite pubbliche di Trump il termine populismo è tornato al centro della discussione pubblica. Una parola ricca di sfumature e spesso abusata, sul cui significato anche gli scienziati politici sono venuti a scontrarsi

Ormai in Italia siamo abituati. Da noi il termine populismo viene usato per indicare un po’ tutta quella galassia del centro-destra che in questi ultimi anni ha trasformato il suo modo di porsi all’elettorato, dal linguaggio fino alle proposte politiche. Sull’etichetta di populista si sono formate delle identità, tra chi ne fa un vanto e chi invece ha definito se stesso contrapponendosi a questo ismo del 21° secolo. È il caso dei leader di Lega e Partito Democratico, Matteo Salvini e Nicola Zingaretti. Il primo non si è mai opposto alla nomea affidatagli dai media di leader populista, il secondo ha invece trovato nell’avversione al populismo un tema rigenerativo per il suo partito. Ma esattamente, cosa si intende per populismo?


Non è possibile trovare una definizione univoca e accettata da tutti. Cas Mudde, politologo olandese e docente all’Università della Georgia, ha dato probabilmente la definizione che ha raccolto più consenso tra i suoi colleghi. Secondo il professore, il populismo è una ideologia dal centro sottile che considera la società divisa in due gruppi: un popolo virtuoso e le élite corrotte; il popolo insegue la volontà generale e la politica deve essere espressione di questa volontà.


Cas Mudde la chiama ideologia thin-centred per marcare la differenza con le ideologie del Novecento. Il populismo infatti non ha scritti particolari a cui riferirsi o una discussione filosofica approfondita sulle sue fondamenta, avendo inoltre confini labili. Yves Meny, studioso francese e docente universitario di scienze politiche, ha ripreso la teoria di Mudde e ha aggiunto come il populismo non si fondi su uno schema esemplificativo della società con pretese scientifiche (come ad esempio la lettura di società data dalla lotta di classe). Spesso anzi si appoggia ad atre ideologie. Ciò significa che sotto l’ombrello di questo termine si possano catalogare partiti e movimenti provenienti da entrambi gli schieramenti, destra e sinistra.


Il docente francese rigetta la teoria secondo cui il populismo è un mero stile comunicativo, diretto, audace e scontroso, perché pur sempre di ideologia si parla, anche se sottile. Al suo interno sono infatti individuabili alcuni paletti o punti in comune, che lui chiama tensioni ideologiche. Queste nascono dalle tre definizioni di popolo che Meny utilizza per chiarire meglio gli obiettivi e le motivazioni che muovono i movimenti populisti:

  • Il popolo come sovrano:

La volontà generale del popolo perde efficacia e muta la propria natura nel momento in cui viene delegata la sua rappresentanza, quest’ultima presuppone la corruzione della volontà del popolo, secondo l’idea populista. Non solo il popolo è sovrano ma deve lui stesso esercitare la sua sovranità, senza delegarla. La peculiarità del populismo sta nella insoddisfazione verso i rappresentati, verso le élite. Il popolo è stato deufradato del suo potere sovrano e lo deve riconquistare contestando il potere esercitato dalle classi dirigenti e dai corpi intermedi, come i partiti.

  • Il popolo come classe:

Il popolo viene dipinto come la parte più umile e virtuosa della popolazione, contrapposta al capitale e alle multinazionali. Si produce una contrapposizione tra economia tradizionale sana ed una economia finanziaria e immateriale insana. I partiti populisti si oppongono alla smaterializzazione dell’economia, denunciano una presunta minoranza parassita e oziosa che fa profitti sule spalle del popolo.

  • Il popolo come nazione:

Qui il popolo viene definito su base etnica, sulla base di un legame di sangue che spesso è una comunanza artefatta, messa in pericolo dall’incompatibilità di corpi estranei che minacciano l’integrità fisica e spirituale della comunità definita come nazione. I movimenti populisti esplicitano l’impossibilità ontologica che esiste nel volere integrare degli stranieri.


Queste tre declinazioni variano a seconda dei contesti di riferimento. I partiti populisti di sinistra si interfacciano di più con l’idea di popolo come classe, mentre quelli di destra con l’idea di popolo come nazione. Il dogma di popolo sovrano rimane invece comune un po’ a tutti.


I tre popoli di Meny mettono in luce le tensioni ideologiche ricorrenti dei populisti: il problema della rappresentanza, la distribuzione delle ricchezze e l’anti-multiculturalismo; tuttavia non esauriscono la definizione di populismo. Come si può infatti pensare ad un movimento populista senza un leader carismatico?


La guida politica, tendenzialmente chiamata portavoce, è un elemento caratterizzante dei movimenti populisti moderni. Sebbene infatti un’entità politica possa rientrare nell’alveo populista, oggi tutti i maggiori attori politici populisti dipendono dal leader.

D’altronde è difficile pensare alla Lega senza Matteo Salvini o al Rassemblement National senza Marine Le Pen. Il legame profondo tra guida e movimento o partito risiede nella rappresentazione del capo-portavoce. Una figura considerata spesso come outsider, esterna alla vita politica di palazzo, che avrebbe potuto fare anche altro nella vita. La guida populista insiste nel presentarsi come un semplice servitore del bene comune e del buonsenso (altri due termini molto abusati).


Il discorso pubblico spesso viene indirizzato verso la drammatizzazione della realtà, verso l’esasperazione dei problemi a tal punto che emerga il bisogno di affidarsi al leader, considerato come salvatore o riformatore della politica, poco avvezzo ai compromessi. Intransigente e in grado di tradurre il linguaggio del politichese, perché le persone per bene non hanno tempo di seguire la politica di palazzo.


Il leader spesso abusa della violenza verbale per denunciare e esasperare i problemi delle istituzioni. All’apparenza un attacco, questo, che mira a riformarle e correggerle, ma che quasi sempre si svela essere una delegittimazione dei corpi intermedi. Ovvero di attori e istituzioni che fanno da tramite tra il potere e i cittadini, su tutti partiti, media e istituzioni di controllo. Il leader ambisce ad erigersi a portavoce diretto della volontà popolare, che non ha bisogno dei checks and balances.


Il populismo è infine un’ideologia mutevole che cambia forma e struttura a seconda degli ambienti che lo circondano, ma è importante riconoscere ad esso quantomeno la bontà di aver portato a galla le problematiche più sentite dal popolo comune. Non c’è dubbio che il populismo sia il prodotto delle mancanze politiche di chi ha guidato l’Europa e l’occidente. La risposta ad anni di abbandono da parte delle élite politiche, incapaci di affrontare problemi che non esaurivano la loro forza propulsiva all’interno dei confini nazionali (globalizzazione, crisi economica, migrazioni, disuguaglianza).


L’opposizione intransigente alla globalizzazione non è altro che la risposta più semplice ed immediata allo stesso problema che ha colto impreparate le élite d’occidente. Mentre queste si arrogavano il diritto di rimanere immobili i populisti hanno tentato di fornire una soluzione. Un rimedio che si contraddistingue nel rigetto, nel rifiuto delle tendenze socio-economiche globali. Una fuga col pallone in mano dalla partita di calcetto.


Il populismo è oggi considerato principalmente come conseguenza, come evoluzione elettorale poco desiderabile. Altrettanta attenzione andrebbe tuttavia posta sull’idea di causa. L’affermarsi di questa ideologia, e del suo stile comunicativo, ha fatto sì che oggi si possano vedere i risultati della sua applicazione. Gli eventi statunitensi di questi giorni parlano da soli. Il populismo, declinato nelle più disparate ideologie, è causa dell’indebolimento delle strutture democratiche.


Nato per ovviare ai limiti che le democrazie occidentali hanno affrontato negli ultimi anni, oggi il populismo si è rivelato causa di peggioramento delle stesse democrazie. Con l’intento di riportare il cittadino e il popolo al centro della politica, ha permesso a leader carismatici e narcisisti di intestarsi le volontà popolari, rilegando i cittadini a meri tifosi del proprio leader.

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