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Sensibilità e legislazione ambientale: dalle origini ai nostri giorni

DI SARA BARONE

07/02/2020

L’uomo è sempre stato connesso alla natura in ogni sua forma. Le sue azioni, però, hanno spesso determinato situazioni di sfruttamento delle risorse naturali e inquinamento ambientale. Il 5 dicembre 1952, un’intensa e grigia nebbia calò sul cielo di Londra per oltre cinque giorni, portando con sé un considerevole numero di vittime. Da quel giorno, la questione ambientale appare sempre più dibattuta dall’opinione pubblica e dai decisori politici; cresce e si sviluppa una nuova sensibilità, interconnessa ad una nuova forma di cooperazione internazionale sul tema ambientale. Scopriamone radici e sviluppi.

Le radici storiche della sensibilità ambientale

L’interesse per l’ambiente, il clima e la natura non è proprio della nostra contemporaneità, anzi, affonda le sue radici nel pensiero prima greco e poi romano sul rapporto uomo-ambiente e sull’impatto delle azioni umane sulla natura. Ad esempio, nel V secolo era diffusissima in Grecia la teoria del “determinismo ambientale”, secondo la quale tutti i dettagli di uno specifico contesto ambientale contribuiscono significativamente alla forma mentis, alla costituzione e caratterizzazione dell’essere umano. Nondimeno, la sensibilità ecologica degli antichi era assai ampia e delineata, a partire dall’embrionale consapevolezza dei danni ambientali che l’impronta umana poteva creare, come il prelievo di risorse (animali, vegetali, minerali) dall’ambiente naturale, l‘immissione nell’ambiente di residui organici o inorganici delle attività di consumo e di produzione, la modifica delle caratteristiche delle specie naturali (animali e vegetali) e dell’ambiente a proprio vantaggio. Fondamentale la concezione, poi, della dimensione sacra della natura, l’unico vincolo all’azione umana: i soli luoghi che non ammettono l’intervento umano sono, infatti, quelli percepiti come “sacri”, cioè come spazi di manifestazione della divinità. Nella mentalità degli antichi, l’ambiente naturale costituisce, in effetti, il luogo privilegiato dell’attività degli dei.

Anche le conseguenze dell’urbanizzazione si riscontrano già nel mondo antico. Si tratta di un concetto di urbanizzazione assai labile e distinto da ciò che si prefigura subito nella nostra mente, ma del tutto simile - negli effetti - al grande fenomeno ottocentesco che sappiamo ben immaginare. Le città greche avevano in genere dimensioni limitate. Solo alcune grandi metropoli, come Atene e Corinto, potevano porre seri problemi ambientali: l’affollamento, il traffico, il rumore, l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, i limiti del sistema fognario, il difficile smaltimento dei rifiuti. Non è un caso che proprio in epoca ellenistica si sia sviluppata una visione idilliaca della vita in campagna e del paesaggio rurale, come locus amoenus in cui rifugiarsi per sfuggire alla frenesia della vita cittadina.

Che sia Atene, Roma, Pechino o Londra, il problema dell’inquinamento atmosferico, del cambiamento climatico e della gestione delle risorse naturali appare assai chiaro e distinto, meritevole di grandi attenzioni da parte sia dell’opinione pubblica che dei centri di decisione e organizzazione politica.


The Great smog of London – come è rinata la sensibilità ambientale

Recentemente si è tenuto l’anniversario di un terribile disastro ambientale che colpì la capitale del Regno Unito negli anni ’50. Un evento che segnò un punto di svolta per la diffusione della questione ambientale nell’opinione pubblica e per la nascita di una più appropriata e coesa legislazione per l’ambiente. Il Grande smog, infatti, è noto per essere il peggior evento di inquinamento atmosferico nella storia del Regno Unito, ma anche uno degli episodi più importanti in termini di impatto sulla percezione pubblica del fenomeno inquinante e sulla successiva regolamentazione governativa. Furono oltre 12.000 le vittime, a cui si aggiungono più di 100.000 cittadini che svilupparono importanti patologie alle vie aeree nelle settimane direttamente seguenti.

Londra fu uno dei centri industriali più fervidi e sviluppati del XIX e XX secolo, con elevatissimi tassi di urbanizzazione anche “forzata”, evento che favorì l’aumento della presenza territoriale di industrie e fabbriche e l’erogazione di sempre maggiori quantità di carbone per il riscaldamento domestico. Non a caso, proprio a Londra agli inizi del Novecento fu coniata la parola “smog”, dall’unione di smoke, “fumo” e fog, “nebbia”.

Questi fattori, unitamente ad un’inversione termica causata da un anticiclone delle Azzorre, produssero la fittissima nebbia che investì la città fermandola per giorni interi: trasporti pubblici, botteghe, aeroporti, centri di lavoro chiusero o limitarono il proprio funzionamento a causa del Great Smog.

L’evento, raccontato da centinaia di cronache e giornali, produsse ben presto grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, determinando, inoltre, una pronta azione del governo inglese. Nel luglio del 1956, infatti, il Parlamento inglese emanò il Clean Air Act, un decreto considerato da molti una pietra miliare del movimento ecologista del Novecento. L’obiettivo del testo era quello di ridurre le emissioni provenienti dai riscaldamenti domestici e dalle scorie delle industrie. Prevedeva che nelle città venissero istituite delle zone in cui non potevano essere bruciati combustibili che producessero polveri sottili, che l’altezza dei camini venisse aumentata e che le nuove fabbriche venissero costruite fuori dai centri urbani. Nel 1968 seguì un secondo decreto che fu raggruppato al primo nel 1993, consolidando l’impegno ecologico del governo.

Il caso di Londra non fu affatto isolato né circoscritto nel tempo o nello spazio. Negli anni seguenti, molte altre città furono protagoniste di eventi simili, fino agli anni più recenti. Ricordiamo, ad esempio, le frequenti nebbie nelle grandi città industriali cinesi, come nel 2017 a Pechino, con allerta rossa ed enormi quantitativi di gas nocivi nell’atmosfera (e nei polmoni dei cittadini, ndr).

Ma fu proprio nel Regno Unito che, nel 1973, nacque il primo partito ecologista europeo, “The Green Party”, promotore e portatore delle maggiori istanze per la protezione e la difesa dell’ambiente.


Una nuova azione politica per l’ambiente

Tra gli anni Sessanta e Novanta nascono e si ramificano pressoché in tutto il globo movimenti politici “partiticizzati” e organizzati a tutti gli effetti che propongono importanti sviluppi e piani strategici in questioni come inquinamento atmosferico, piano nucleare, sfruttamento delle risorse naturali e cambiamento climatico. Molto più recentemente, l’interesse per il clima e l’ambiente è diventato sempre più crescente tra i Millennials, i “giovani della Thunberg” e dei Fridays For Future.

Non sono soltanto i “Verdi” ad aver presentato nei vari organi di potere le proprie istanze, ma negli ultimi decenni pressoché ogni partito ha ideato e messo in atto importanti legislazioni sull’ambiente. Le organizzazioni internazionali, poi, hanno congiuntamente collaborato e indicato ai singoli paesi i metodi e gli strumenti per modificare la situazione climatica/inquinamento all’interno delle singole entità statali. L’Unione Europea, in primo luogo, nel TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) ha inserito alcuni articoli che disciplinano l’azione combinata dei singoli paesi per lo sviluppo ambientale: l’art.191, primo fra i tutti, nella sezione “ambiente”, esplica gli obiettivi che l’UE persegue, fra cui il miglioramento della qualità dell’ambiente, la protezione della salute umana, l’utilizzo accorto delle risorse naturali e la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.


In Europa, la qualità dell'aria è migliorata considerevolmente da quando l'UE ha iniziato, negli anni '70 del secolo scorso, a far fronte a tale problematica: le concentrazioni di sostanze quali anidride solforosa (SO2), monossido di carbonio (CO), benzene (C6H6) e piombo (Pb) sono diminuite in maniera notevole. Attualmente, l'UE dispone di tre diversi meccanismi giuridici per contrastare l'inquinamento atmosferico: la definizione di norme generali di qualità dell'aria per quanto concerne la concentrazione degli inquinanti atmosferici nell'ambiente; la definizione di limiti nazionali per le emissioni complessive di agenti inquinanti; l'elaborazione di una normativa specifica in base alla fonte, controllando, per esempio, le emissioni industriali o stabilendo norme in materia di emissioni dei veicoli, efficienza energetica o qualità dei carburanti. Integrano la normativa summenzionata strategie e misure volte a promuovere la tutela dell'ambiente e la relativa integrazione in altri settori.

Sempre intorno agli anni ’70 del secolo scorso ha luogo a Stoccolma una delle prime conferenze internazionali convocata con l’obiettivo di fare il punto sulla questione ambientale: la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, nata grazie alla sempre maggiore cooperazione internazionale fra i vari stati.

Durante la conferenza, i 112 paesi siglarono un Piano di azione e la Dichiarazione dei principi, uno dei primi documenti internazionali sulla difesa dell’ambiente. Con una visione antropocentrica, la dichiarazione considera la tutela dell'ambiente in quanto luogo in cui il genere umano vive, non come fine di per sé. Inoltre, emerge per la prima volta che l'uomo ha un diritto fondamentale alla libertà e all'eguaglianza, cui corrisponde, quindi, la responsabilità a preservare l'ambiente sia per le generazioni presenti che future. Si tratta di un primo passo importante, ma ancora piuttosto scarno e inefficiente per la portata della questione trattata.


Da quel momento, l’impegno globale per la protezione ambientale e la tutela delle risorse disponibili è aumentato a dismisura, garantendo una collaborazione internazionale senza precedenti e creando le fondamenta per le azioni strategiche future. Così nel 1992 si è tenuto a Rio de Janeiro il Summit della terra, la prima conferenza dei capi di stato mondiale sul tema ambientale. Un importante risultato della Conferenza fu l’Agenda 21, l'accordo sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che a sua volta portò, alcuni anni dopo, alla stesura del protocollo di Kyōto, esteso fino al 2020 con l’accordo di Doha.

Le conferenze e i summit internazionali si sono tradotte, infine, nell’ Accordo di Parigi, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. Il documento stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. Inoltre, punta a rafforzare la capacità dei paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi.

Se da una parte sono stati necessari alcuni terribili eventi e disastri ambientali per risvegliare la coscienza e lo spirito civico sia dei cittadini che dei decisori politici, è pur vero che, ad oggi, l’impegno delle decine di Organizzazioni internazionali - ma anche dei singoli Stati - abbia portato importanti risultati sull’impatto ambientale dell’impronta umana e la tutela delle risorse naturali. La strada da percorrere è ancora lunga e richiede un massimo impegno governativo ed una crescente sensibilizzazione civica del tema, sottolineando quanto sia importante la difesa e la tutela di un bene che spesso, superficialmente, giudichiamo infallibile ed illimitato.

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