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Tokenismo: cos’è e cosa rappresenta?

DI EMMA FELISATTI

28/04/2022

Il termine tokenismo deriva dalla parola inglese “token”: un elemento che assume valore intrinseco solo se inserito in un contesto ben specifico. Rappresenta pertanto un simbolo, un emblema, che viene inserito in un determinato quadro con uno scopo ben preciso: sembrare inclusivi.

Il fenomeno del tokenismo, definito per la prima volta da Rosabeth Moss Kanter nel 1977, rappresenta la pratica attraverso la quale gruppi di maggioranza inseriscono, all'interno di un determinato contesto, una persona facente parte di una minoranza con il solo scopo di sembrare inclusivi agli occhi del pubblico. Il tokenismo tocca infatti ogni tipo di gruppo minoritario e si può trovare facilmente in diversi ambiti: dal mondo del lavoro alla televisione. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni - in particolare dopo il movimento femminista #metoo scoppiato negli Stati Uniti nel 2018 - sia stato facile trovare donne agli apici di aziende importanti. Tuttavia, il problema sorge dal momento in cui le donne presenti nelle aziende sono le uniche dell’intero ufficio, o quasi. Infatti, la presenza di una sola donna nell’intero team è un aspetto estremamente negativo: ella non è altro che un token: l’emblema della “donna forte e potente che può arrivare al vertice di una azienda”. Agli occhi della società, la ditta in questione diventerà simbolo di uguaglianza e apertura mentale, quando in realtà si tratta solo di tokenismo. La vera e propria inclusività sarà raggiunta solo quando il numero di donne aumenterà; lo stesso ragionamento è applicato al caso delle persone con disabilità all’interno dei board. In realtà, già dal 1991 esiste un termine che esprime perfettamente il concetto: the Smurfette Principle, ovvero, “il Principio di Puffetta”, nato al fine di indicare la presenza di una sola donna all’interno di un ampio gruppo di uomini, esattamente come nel noto cartone animato. Inoltre, il fenomeno del tokenismo è sempre più evidente anche in televisione: è sempre più alto il numero di film e serie tv che raffigurano minoranze inserendo personaggi omosessuali, neri, di religioni diverse e altre minoranze etniche, con il fine ultimo di dare una parvenza di inclusività, avendo, però, l’effetto opposto.


Questo perché i ruoli assegnati alle minoranze, rispecchiano gli stereotipi e i pregiudizi che solitamente vengono accomunati a queste ultime. Inoltre, accade di rado che venga loro attribuita una parte di spessore, né, tantomeno, quella da protagonista. Anzi, spesso accade proprio che gli attori neri ricoprano ruoli come l’antagonista della storia o personaggi con caratteristiche negative. Ad oggi, tuttavia, si può parlare di sviluppi positivi in materia. I registi di film e serie tv recenti stanno iniziando ad applicare il cosiddetto “colour-blind casting”, al fine di scollegare la scelta dell’interprete da qualsiasi aspetto che riguardi il sesso biologico, l’identità di genere e l’etnia del personaggio. L’attrice Jodie Turner-Smith nei panni di Anna Bolena, nell’omonima serie tv, è un caso emblematico; così come la maggior parte dei personaggi di Bridgerton: ad esempio, Golda Rosheveul, di origini guyane, interpreta la regina Carlotta e moglie di re Giorgio; mentre Regé-Jean Page, anglo zimbabwese, è il Duca di Hastings. In questi casi l’utilizzo della nuova tipologia di casting è evidente: il pubblico si accorge della dissociazione tra caratteristiche dell’attore e del personaggio per via del colore della pelle. Tuttavia, ci sono anche moltissimi altri esempi in cui i ruoli televisivi, di persone cisgender, siano stati interpretati da persone transgender. È necessario infine sottolineare quanto una corretta rappresentazione delle minoranze sia fondamentale, specialmente per quanto riguarda il mondo del cinema e della televisione. L’influenza di questi mezzi di comunicazione ha un impatto decisivo sulla società e nel modo in cui le minoranze vengono percepite al suo interno. Ancora più importante, tuttavia, è la percezione che queste persone hanno di loro stesse: è necessario raccontare la storia di tutti e che questa possa essere interpretata da tutti, indistintamente da sesso, genere, etnia e colore della pelle.

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